martedì 23 giugno 2015
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La storia successiva dei valdesi è segnata da persecuzioni e lotte sanguinose, in cui i motivi religiosi si intrecciano agli scenari economici e politici coevi. Particolarmente tragico il massacro detto delle “Pasque piemontesi”: nell’aprile 1655 le truppe del duca di Savoia sterminano 1.700 valdesi. Nel 1686 l’editto di Vittorio Amedeo II di Savoia, che vieta il culto protestante, causa nuove stragi e deportazioni. I superstiti fuggono in Svizzera. Tornano nelle valli piemontesi nel 1689, guidati dal pastore Henri Arnaud che si pone a capo del “glorioso rimpatrio”. Tuttavia vivono in una sorta di ghetto montano fino al 17 febbraio 1848, quando Carlo Alberto con lo Statuto e le Lettere Patenti riconosce i diritti civili a valdesi ed ebrei. A fine Ottocento per motivi economici molti valdesi emigrano in Argentina e Uruguay: nasce così il ramo rioplatense che oggi conta alcune migliaia di membri.  Attualmente in Italia i valdesi sono diffusi su tutto il territorio con un centinaio di comunità e 24mila membri. Nel 1975 un Patto di integrazione ha sancito l’unione in un unico Sinodo delle Chiese metodiste con quelle valdesi. I metodisti italiani sono 5mila. Dal 1984 i rapporti con lo Stato italiano sono regolati da un’Intesa (legge 449/1984).
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