giovedì 9 ottobre 2014
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Giusto ieri, un padre sinodale ha sottolineato un’analogia tra «l’impegno che il Sinodo deve fare sulla pastorale familiare» e il tema della libertà religiosa al Concilio Vaticano II, per sottolineare che in quell’assise si riuscì infine a coniugare libertà e verità. «Prima del Concilio infatti si diceva: “Bisogna difendere la verità! Piace o non piace, questo è”. Ma nel Concilio si è detto: “Certo, c’è la verità ma c’è anche la libertà religiosa, e chi crede nella sua religione è libero di farlo”. Per qualcuno questo era impossibile. Il Concilio però ha trovato una nuova strada». «In questo modo anche il Sinodo potrà trovare un nuovo approccio sulla famiglia, anche se nessuno vuole mettere in questione l’indissolubiltà del matrimonio e l’ideale di coniugi fedeli» ha fatto osservare il teologo argentino Victor Manuel Fernandez, vice-presidente della commissione che scriverà il messaggio finale del sinodo, riportando proprio quell’analogia. Ed è un’osservazione da sottolineare non solo perché emerge come risultato di un dibattito reale, ma anche perché è indice dello stato attuale del dibattito tra i padri sinodali in questa prima fase di sviluppo. Oggi l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, partecipante all’assemblea sinodale, in un’intervista rilasciata ad Andrea Tornielli significativamente ha fatto notare: «Mi domando perché delle persone divorziate risposate che frequentano la comunità non debbano avere l'opportunità di insegnare in una scuola cattolica o in una università le normali scienze e materie. Perché a un divorziato risposato non deve essere permesso di cantare in chiesa? Queste forme di esclusione urtano e non fanno poi capire quando la Chiesa dice che vuole accogliere». «Come può dare quindi il segno dell’accoglienza una Chiesa, che è chiamata a camminare, accompagnando gli uomini e le donne di oggi, senza escludere nessuno, rimanendo nell'insegnamento di Gesù?» Questa quindi è la vera sfida. «Tutti abbiamo chiara consapevolezza dei princìpi fondamentali, ma dobbiamo essere capaci di trovare dei linguaggi, delle forme, delle espressioni e dei comportamenti che siano più possibile segno di vicinanza della Chiesa e non di esclusione. Questo dunque è il criterio fondamentale non per cambiare ma per creare il progresso, per non alterare, ma per evidenziare lo sviluppo della dottrina» spiega il prelato, citando ad hoc un principio di San Vincenzo di Lerins il quale afferma che il progresso, lo sviluppo non significa alterazione dei contenuti della fede. Ed è proprio questo brano dell’autore del V secolo uno dei must di Bergoglio. Già in un’intervista rilasciatami nel 2007 sul documento di Aparecida, affermava: «San Vincenzo di Lerins fa il paragone tra lo sviluppo biologico dell’uomo, tra l’uomo che cresce, e la tradizione che, nel trasmettere la fede un’epoca all’altra, il depositum fidei, cresce e si consolida con il passo del tempo: Ut annis scilicet consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate». Così aveva sottolineato l’allora arcivescovo di Buenos Aires.

 

In sostanza, dunque, fin dall’inizio del dibattito all’interno del Sinodo sono emerse, sì, due linee di pensiero, ma via via si sta sempre più facendo strada anche una direzione che intende dare risposte nuove e concrete in merito alle situazioni difficili delle realtà familiari, affrontando il nodo della comunione ai divorziati risposati. La stragrande maggioranza dei padri (circa il 90 per cento) non sono solo del parere che si debba aggiornare il linguaggio della Chiesa e rinnovare l’atteggiamento di comprensione e di coinvolgimento nelle ferite delle famiglie.

Proprio ieri pomeriggio, infatti, affrontando e discutendo in aula i punti caldi del Sinodo, l’arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin, facendosi interprete di una larga parte di padri sinodali, ha affermato: «Non si è fatto un Sinodo per ripetere le stesse cose, per ripetere le verità della dottrina che già sappiamo, ma per cercare una possibile soluzione e rispondere in modo nuovo alle attese del popolo di Dio». Dunque la porta aperta su una via da percorrere nel tempo si delinea con chiarezza e nella chiarezza.

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