martedì 21 ottobre 2014
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«Il Sinodo? È già ora di ricominciare. L’appuntamento del 2015 è dietro l’angolo». Scherza ma non troppo l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, consapevole che dopo due settimane intensissime nell’Aula sinodale, ora sarà subito chiamato a rituffarsi nei tanti problemi aperti. La relazione mette in luce gli aspetti positivi della situazione antropologico-culturale della famiglia nel mondo, ma non si nasconde le grandi preoccupazioni, a cominciare dall’individualismo esasperato che snatura i legami familiari. Come ne usciremo? Per la prima volta nella storia si mette in questione quel triplice pilastro (matrimonio-famiglia-vita) che è il motore della nostra civiltà e si pretende di scomporlo e di ricomporlo a piacimento. È questo il nodo antropologico più delicato di fronte al quale la Chiesa non può non reagire, riaffermando il dono originario della creazione, illuminato e riconfermato da Gesù. Si tratta però di spiegarlo in modo nuovo... Certo, dobbiamo farlo raccogliendo tutti gli aspetti positivi che la cultura moderna offre relativamente all’affermazione della persona, dei suoi diritti, della sua dignità, cercando una nuova sintesi tra sapienza biblica e cultura contemporanea. Dobbiamo creare un nuovo umanesimo. Ecco il cuore della sfida. E in questa sfida come collocare l’invito del Sinodo a proposito della necessità di 'accogliere le persone nella loro esistenza concreta'? Ma questo rispecchia quella pedagogia divina di cui papa Francesco parla spesso e che risponde alla necessità di uscire 'verso le strade del mondo' con quella simpatia immensa di cui parla anche Paolo VI. Questa è la logica per farsi vicino a tutte le situazioni e per camminare verso quel nuovo umanesimo, cui accennavo prima. Francesco parla dell’arte dell’accompagnamento, ben sapendo che va evitato ogni buonismo cieco, ma va sostenuta l’audacia dell’amore. È questa la prospettiva per quella 'dimensione nuova della pastorale familiare' raccomandata dal Sinodo? La nuova pastorale familiare si iscrive in quella pastorale di popolo che dovremmo impegnarci a realizzare. Non si tratta di fermarsi alla cura del piccolo ovile delle coppie doc. In questa chiave sono le famiglie stesse a dover diventare missionarie per andare a raccogliere le altre, quelle più bisognose. È una vera rivoluzione spirituale affidata non a qualcuno o qualche specialista, ma all’intera comunità. In questo senso ci vuole la sapienza appassionata, oltre a uno sguardo spirituale e non strettamente giuridico, che sappia cogliere le scintille sparse da Dio, perché si accendano o comincino a irrobustirsi. Ma le nostre comunità sono attrezzate per questa svolta? Nuova pastorale familiare vuol dire anche che nessuno dev’essere abbandonato o escluso a priori, Ma tutti vanno avvicinati, amati e accompagnati. L’arte dell’accompagnamento suppone anche la pazienza di spingere chi sta più indietro. Ecco perché parliamo di conversione missionaria. Nella 'testimonianza gioiosa dei coniugi e delle famiglie', come si legge nella relazione finale, che posta occupa la soggettività pastorale delle famiglie? Soggettività vuol dire rendere le famiglie protagoniste dirette della missione. E qui vedo due aspetti irrinunciabili, che il Sinodo del 2015 dovrà obbligatoriamente esaminare. Innanzi tutto riconoscere il fondamentale ruolo delle donne nell’ambito familiare. Madri, mogli, nonne sono protagoniste della famiglia. E poi sono le donne a tenere in vita la Chiesa e la società. E non solo perché i figli continuano a farli loro. Dobbiamo schierarci con più coraggio accanto alle donne, sostenere e promuovere il loro protagonismo, anche per contrastare quella cultura strisciante che vorrebbe scoraggiare la maternità. E l’altro aspetto della soggettività? È legato all’urgenza di aiutare le famiglie ad andare 'oltre la famiglia', per evitare che si chiudano nel loro familismo. La famiglia cristiana è spinta dall’amore di Gesù ad andare oltre se stessa. Eucarestia ai divorzi risposati, questione in qualche modo congelata? Nella relazione finale il problema arriva al 52° paragrafo sui complessivi 62. Tuttavia questo tema, pur non essendo il più importante, colora un po’ l’atteggiamento che la Chiesa vuol prendere, perché attraverso di esso si mostra la volontà di aiutare chi vive in situazioni difficili o irregolari. Approfondire la questione, come raccomanda il Sinodo, vuol dire arrivare a proposte percorribili in grado davvero di conciliare verità e misericordia. Ce la faremo.
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