sabato 18 aprile 2015
Domenica inizia l'ostensione del Telo. Parla l'arcivescovo di Torino: «Per molti la visita è culmine di un cammino interiore».
Davanti alla Sindone l'unico discorso possibile è il silenzio (R. Maccioni) 
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Alla vigilia dell’apertura dell’ostensione della Sindone – da domani nel Duomo di Torino –, l’arcivescovo Cesare Nosiglia parla ad Avvenire delle attese e delle speranza che questo grande evento porta con sé. E lancia l’invito non tanto a guardare la Sindone, bensì a «lasciarsi guardare» da essa. E poi la visita di papa Francesco, «un dono» per l’arcidiocesi, che in questo evento dell’ostensione vede un’apertura a tutti credenti e non credenti. I pellegrini potranno vedere la Sindone fino al 24 giugno prossimo. Monsignor Nosiglia, perché la gente piange? Di fronte alla Sindone succede qualcosa che ci sconvolge. Crediamo di sapere tutto di quell’immagine, siamo venuti apposta a Torino per vederla. Lungo il percorso abbiamo imparato a conoscerla. Eppure lì davanti, in quei pochi minuti che la visita consente, all’improvviso comprendiamo ciò che le guide, gli opuscoli, i filmati non possono dirci: e cioè che quel Volto viene a «toccare» noi, ciascuno di noi. Papa Francesco lo ha capito nel profondo, e ce lo ha detto nel videomessaggio per l’ostensione televisiva del 2013, chiedendo non tanto di guardare la Sindone ma di «lasciarsi guardare », accettare di mettersi in discussione. Non sto parlando di emozione né di commozione ma di un movimento interiore, che nasce dal cammino stesso che si è compiuto. Di fronte alla Sindone, per ciascuno in modo diverso, il senso di quel cammino ci viene rivelato. Non è curiosità, allora. La curiosità, l’interesse per le questioni scientifiche, l’attenzione suscitata dai mass media sono fra gli elementi che fanno decidere per il viaggio. La rete ha moltiplicato le occasioni, del Volto sindonico si trovano immagini ovunque. Eppure, più circolano immagini più ci si rende conto che il pellegrinaggio è cosa completamente diversa: la conoscenza «virtuale» della Sindone è un approccio iniziale, poi deve venire il resto del cammino. Tra il milione di pellegrini che si sono prenotati finora per l’ostensione la gran parte proviene da gruppi parrocchiali, pellegrinaggi diocesani, associazioni: persone che conoscono la Sindone in modo più approfondito e desiderano ripetere l’esperienza del viaggio. Non dimentichiamo che, anche in tempi lontani dall’ostensione, nelle parrocchie e nei centri culturali, in Italia e all’estero, si tengono conferenze, serate di conoscenza del Telo, corsi di informazione nelle scuole. È un lavoro magari poco vistoso ma che produce frutti: per la conoscenza della Sindone, e per la «voglia» di venire a vederla a Torino. Ma vengono molti anche non credenti, o credenti di altre religioni. L’ostensione è un evento aperto. La Chiesa propone questo momento, che è spirituale ed ecclesiale, a tutti, senza imporre nulla a nessuno. Si entra nel Duomo di Torino come si va in qualunque altra chiesa, con la differenza che il gran numero di visitatori richiede un sistema di prenotazione. Ricordo ancora una volta che la visita è interamente gratuita, e obbligatoria la prenotazione. Detto questo, siamo ben consapevoli che l’ostensione è diventata, per l’intero «sistema Torino», un’occasione importante per mettere in campo sinergie, suscitare nuove risorse, far conoscere meglio la città e il suo territorio. Per questo dal 1998 l’ostensione è promossa in collaborazione con gli enti locali e le altre realtà subalpine. Colgo l’occasione per ringraziare davvero tutti: in un momento di grandi difficoltà economiche e sociali per il nostro territorio la collaborazione per l’ostensione è un segnale importante prima di tutto per noi torinesi. E pensando al «sistema Torino» mi sembra di poter dire che proprio per questo il mondo salesiano non poteva non entrare in questo cammino: i figli e le figlie di don Bosco portano il Vangelo in tutto il mondo, ma la loro radice rimane profondamente torinese. Ho scelto come motto per questa ostensione il passo di Giovanni 15, dove Gesù dice che non c’è amore più grande di chi dà la vita perché mi sembra che queste parole abbiano un valore veramente universale perché indicano a tutti una via che porta alla realizzazione piena di se stessi, nel donarsi completamente per il prossimo. Una via che passa anche dalla morte, dalla sofferenza della Sindone. Ma noi siamo testimoni che il Signore è risorto. E anche per questo ho chiesto che nell’ostensione 2015 si dedichi particolare attenzione al mondo della sofferenza e a quello dei giovani che, oggi più che mai, sono affamati di speranza, hanno bisogno di «testimoni» che indichino non solo a parole le strade della vita. E la ricerca scientifica? Nel 2000 si tenne a Torino un importante Simposio con scienziati di tutto il mondo che fecero le loro proposte. Dopo di allora i progetti vennero vagliati e coordinati dalla Commissione diocesana e inviati alla Santa Sede. Per il momento non c’è ancora un programma di nuove ricerche definito, anche perché il continuo aggiornamento delle tecnologie consente ipotesi di lavoro sempre nuove, con strumenti più raffinati, che consentiranno in futuro esami sempre meno invasivi sul tessuto. Il primo dovere della Chiesa è garantire la conservazione della Sindone in condizioni ottimali, e a questo serve innanzi tutto l’esperienza della ricerca scientifica. Negli ultimi 30 anni il magistero dei Papi ha distinto con molta chiarezza i «ruoli» della scienza e della fede in rapporto alla Sindone, lasciando alla scienza le proprie competenze e le proprie responsabilità. E poi verrà papa Francesco. Già ora la sua visita attesa è un dono. Il Papa muove non solo la curiosità e l’entusiasmo, ma le coscienze. E il fatto che ci sia tanta gente che vuole vederlo – magari toccarlo, magari parlargli – è un segno importantissimo. Anche per questo abbiamo deciso di consegnare a lui, il 21 giugno, le offerte che verranno lasciate dai pellegrini della Sindone durante l’intera ostensione. Il nostro dono non ha condizioni, sarà il Papa a decidere come e dove destinare l’offerta. Certo saremmo contenti se lui decidesse per un’opera, un progetto che ricordi il Santo Volto, e dunque Torino e l’esperienza dell’ostensione. I valdesi, i parenti… L’incontro con la comunità evangelica valdese nel loro tempio di Torino è un altro dei gesti che passerà alla storia, all’interno della «strategia globale» di questo pontificato. Ma credo che abbia anche un senso più immediato, concreto e locale: fin dal dopo Concilio, Torino è stata fra le prime Chiese che hanno perseguito con convinzione il dialogo ecumenico, nelle celebrazioni dell’Ottavario come in quella fraternità concreta, quotidiana che sperimentiamo con i valdesi, gli ortodossi, le Chiese orientali, le altre confessioni evangeliche. La visita di Francesco viene a suggellare questo dialogo, e anche forse a girare la pagina storica dei conflitti, delle divisioni, delle diffidenze. A purificare la memoria. Quanto all’incontro di papa Bergoglio con i suoi parenti: sappiamo bene che le sue radici sono qui, mi pare un momento molto bello e molto «umano» questo incontro. È come se tutti noi, torinesi e piemontesi, fossimo vicini a lui non solo nella comunione ecclesiale ma anche in quella conoscenza più discreta e personale della famiglia.  
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