giovedì 15 ottobre 2015
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Come impostare una pastorale accogliente per i separati e i divorziati? Semplice, affidando il coordinamento del gruppo ad altri separati e divorziati. «Chi ha vissuto la sofferenza della separazione e ha superato le difficoltà connesse a questa situazione, può meglio di tanti altri esperti comprendere le dinamiche delle famiglie spezzate ed accompagnare nella fede le persone che vivono la sua stessa situazione». L’esperienza è stata riferita ieri nell’Aula sinodale da un vescovo sudamericano. La Congregazione generale del pomeriggio, alla presenza del Papa, ha affrontato alcuni degli argomenti più delicati di cui si parla nella terza parte dell’Instrumentum laboris.  Tanti gli interventi sul tema – comprese alcune comunicazioni su diverse esperienze pastorali con e per le famiglie ferite – ma con toni pacati e rispettosi delle diverse sensibilità. Così, non ha stupito nessuno che, accanto alle riflessioni dotte di importante cardinale europeo che ha ribadito la necessità di non scalfire in alcun modo la dottrina del matrimonio con proposte pastorali a rischio, ci sia stato l’intervento di un vescovo africano che ha parlato – in modo tutt’altro che negativo – del cosiddetto “matrimonio a tappe”. Non si tratta – ha detto in sostanza il presule africano – di una convivenza affrettata o di un concubinaggio, ma di un percorso educativo che si realizza sotto la tutela delle rispettive famiglie e che porta i due fidanzati a comprendere progressivamente il valore del matrimonio cattolico. Una sorta di pastorale della gradualità espressa in modo circostanziato e “quasi” convincente.
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