sabato 20 giugno 2015
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Fra i padri nobili del pensiero ambientale europeo, grazie al concetto di "ecologia urbana" e ad opere come «L’Homme renaturé» (1977), il francese Jean-Marie Pelt, presidente dell’Istituto europeo di Ecologia a Metz, è una figura di spicco nel panorama scientifico e intellettuale, non soltanto francese. Nato 81 anni fa, studi in biologia, botanica e farmacia, è anche professore emerito all’università della Lorena. Sull’ecologia urbana Pelt ha lavorato avendo un incarico ufficiale per il comune di Metz fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. La filosofia di tale approccio è quella di una maggiore integrazione tra uomo e ambiente anche in città. A Metz, Pelt ha infatti promosso la realizzazione di vaste aree verdi intorno ai fiumi, nell’incontro tra «acqua e pietra».«È un’enciclica circolare, dove si percepisce bene la mano del Papa, la sua forza intuitiva ed affettiva. E nei contenuti, è un testo olistico e di sintesi, che mira a cogliere i nessi dentro la totalità della sfida ecologica». Il francese Jean-Marie Pelt, presidente dell’Istituto europeo di Ecologia a Metz, ha letto d’un fiato la Laudato si’, anche come credente da sempre attento alla dimensione spirituale dell’ambiente, approfondita ad esempio nell’intenso Dieu en son jardin (2004): «L’umano è al centro dell’enciclica, che c’invita a un rapporto rinnovato con la nostra casa». Professore, cosa l’ha colpita maggiormente alla prima lettura? «È un testo che punta dritto al cuore del problema, ovvero il legame dell’ambiente con la sfera sociale ed economica, con un’attenzione speciale alla povertà. È un approccio che condivido, perché viviamo oggi una crisi sistemica che chiede Jean-Marie Pelt, presidente dell’Istituto europeo di Ecologia a Metz, è una figura di spicco nel panorama scientifico e intellettuale. È fra i padri nobili del pensiero ambientale europeo, grazie al concetto di 'ecologia urbana' alla nostra intelligenza di non trascurare nessun aspetto. Accanto al clima e alla biodiversità, il Papa ha così allargato l’analisi opportunamente alla minuta ecologia della vita quotidiana e all’ecologia culturale, ancora così spesso trascurate». Il mondo può essere compreso come una 'trama di relazioni', sottolinea l’enciclica. Come qualificherebbe quest’orientamento? «Per il Papa, questa visione si ricollega direttamente alla Trinità come relazione fra Persone traversate da amore reciproco. E si può cogliere in effetti nell’enciclica questo primato del relazionale, così coerente con il funzionamento complessivo della natura, la quale può essere ben definita come l’insieme delle innumerevoli relazioni fra gli esseri viventi all’interno degli ecosistemi. Il mondo animale, così come quello vegetale, possono funzionare solo grazie a queste relazioni che a torto sono state credute a lungo come esclusivamente conflittuali. Invece, le cooperazioni e associazioni sono innumerevoli ». Per il Papa, occorre «investire molto di più nella ricerca » sugli ecosistemi. La colpisce questa perorazione in favore delle scienze naturali? «Sì, molto, perché dimostra una conoscenza profonda delle sfide attuali dell’ecologia. Ci resta ancora tantissimo da capire sul funzionamento della natura. Sappiamo che l’aggrediamo e ne constatiamo i danni, ma in realtà abbiamo ancora conoscenze limitate sul funzionamento dettagliato degli ecosistemi. In particolare, non sappiamo bene quanto ogni specie apporta all’equilibrio generale. Eppure, come l’enciclica sottolinea, possiamo ragionevolmente pensare che ciascuna è utile alle altre». L’invito non piacerà necessariamente a certi scienziati refrattari alla fede... «Forse. Ma sono convinto che quest’enciclica contribuirà pure a sganciare le nostre società da questo autaut, in realtà ricoperto di muffa, che ancora qualcuno vuole vedere fra scienza e fede. Per buona parte delle generazioni più giovani, del resto, suona già come acqua passata». La tecnologia è letta invece in una chiave duplice: legata alla creatività umana, ma pure strumento di potere difficilmente controllabile... «A proposito delle medicine, comprendiamo ormai che conviene farne un buon uso. Ma avremmo bisogno di acquisire la stessa consapevolezza a proposito delle tecnologie, capaci oggi di far trottare negli spiriti progetti prometeici inauditi, come quello transumanista del cosiddetto 'uomo aumentato'. Per questo, l’invito dell’enciclica a una maggiore umiltà giunge al momento giusto. Anche perché le tecnologie possono talora allontanarci ancor più dalla natura, dalla sua dimensione sensoriale e corporea. Un problema che diventa cruciale per i giovani ». Fra eccessi di potere e natura, la Laudato si’ pare stabilire un rapporto antitetico. Che ne pensa? «La potenza della finanza e dell’economia può relegare la politica in uno stato di sudditanza, come sottolinea il Papa. Proprio per questo, i grandi appuntamenti dell’Onu sull’ecologia finiscono generalmente per impantanarsi. Ed esiste un rischio reale che pure le coscienze individuali possano finire a loro volta macinate da questi schiacciasassi. Chiedendo una conversione ecologica ad ampio raggio, il Papa ci invita a ritrovare vie alternative già iscritte in profondità nella nostra stessa natura. Abbiamo bisogno di un cambiamento radicale di paradigma e l’enciclica coglie pienamente questo punto, ad esempio evocando il necessario allontanamento dalle 'false dialettiche degli ultimi secoli'». Come ha trovato i passaggi all’insegna della speranza? «Opportuni per gli anni che viviamo, segnati dalla tentazione costante del disfattismo o del catastrofismo. In questo senso, è splendido soprattutto il finale dell’enciclica, che ci conduce in cielo evocando il faccia a faccia con Dio che ci attende. Dunque, lo scioglimento dei misteri dell’Universo. Per i credenti, potrà divenire un autentico incoraggiamento, come pure l’evocazione della felicità dei cristiani capaci di vivere senza l’ossessione del consumo». Le sembra un’enciclica dalle potenzialità ecumeniche? «Certamente. In proposito, trovo molto toccante il riferimento al Patriarca Bartolomeo, dato che ho potuto apprezzare a lungo personalmente la visione ecologica di quest’ultimo quando fui invitato ad Istanbul per un vertice su monoteismo ed ecologia. Rimasi stupefatto dalla forza delle sue convinzioni ecologiche. Le stesse, direi, di un perfetto discepolo di san Francesco d’Assisi». Alla fibra ecologica di tanti cristiani occorreva un simile documento? «Occorre confessare umilmente che i cristiani hanno ancora tanta strada da compiere, perché la sensibilità ecologica nel mondo cristiano è rimasta a lungo debole. Ancora un decennio fa, si vedevano raramente delle sigle cristiane nei grandi appuntamenti sull’ambiente. Avevamo dimenticato la natura, forse influenzati pure dagli spettri panteistici di alcuni teologi, talora pronti in passato persino a teorizzare una natura senza Dio. Adesso, con quest’enciclica, il risveglio cominciato negli anni Settanta potrà essere fortemente accelerato. L’interpenetrazione costante fra uomo e natura risulterà più chiara a tanti fedeli, spalancando loro le finestre della bellezza del mondo».
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