lunedì 18 marzo 2013
​Il futuro Papa si sostituì a un cappellano militare per scoprire dove venivano tenuti i preti arrestati. I giudici che indagarono su di lui: «Accusa false. Una canagliata»
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​È vero: padre Jorge Mario Bergoglio si mise a investigare su alcuni preti al tempo della dittatura. Ed è altrettanto vero che l’allora Superiore provinciale dei gesuiti argentini incontrò sia il generale Videla sia l’ammiraglio Massera. Di più: il futuro Papa andò a celebrare Messa in una caserma dove si presumeva venissero portati i dissidenti. Ma non per le ragioni che gli imputano le fameliche bande di rovistatori di immondizia.Davanti agli investigatori argentini l’allora cardinale di Buenos Aires non si sottrasse ad una raffica di domande, replicate il 23 aprile 2011 con 33 questioni cui il futuro pontefice rispose per iscritto. Un documento tenuto riservato dalle autorità argentine, ma che Avvenire ha ottenuto da fonti giudiziarie del Paese.«Ho fatto quello che potevo, che era nelle mie possibilità per l’età che avevo (meno di quarant’anni, ndr) e i pochi rapporti che mantenevo, al fine di intercedere per far liberare persone sequestrate», raccontò Bergoglio. Una ricostruzione confermata dagli esiti delle inchieste, che mai lo hanno visto indagato, a differenza di altri sacerdoti inquisiti e duramente condannati.Le accuse contro l’attuale papa Francesco «sono state da noi esaminate attentamente – ha ribadito al quotidiano La Nacion German Castelli, uno dei tre giudici autori della sentenza al processo contro i militari dell’Esma, il famigerato centro di detenzione degli oppositori –. Abbiamo verificato tutti i dati e siamo giunti alla conclusione che il comportamento di Bergoglio non aveva alcun rilievo giudiziario».In effetti, come dichiarò il gesuita che diventerà pontefice, «ho visto due volte il generale Jorge Videla e l’ammiraglio Emilio Massera». Se ai detrattori quegli incontri apparvero la prova del collaborazionismo di Bergoglio, in realtà egli voleva «scoprire – sono parole sue – quale cappellano militare celebrava la Messa» nei centri di tortura. Una volta appreso il nome direttamente da Videla, Bergoglio con uno stratagemma convinse il prete-soldato «a darsi malato e a mandare me al suo posto». È la prova, questa, che il gesuita non si fidava di alcuni uomini di Chiesa. Non gli restava che rischiare. Da solo e senza coperture. Scelta coerente per un religioso che fece espatriare «un giovane che mi somigliava molto, dandogli la mia carta d’identità e vestendolo da prete: solo così potevo salvargli la vita».Sono passati molti anni, ma la celebrazione vespertina con i più alti vertici delle autorità non potrà dimenticarla. «Ricordo che era un sabato pomeriggio e tenni Messa nella residenza del comandante in capo dell’esercito – ha ricostruito Bergoglio –, davanti a tutta la famiglia di Videla. Poi ho chiesto di parlare con lui, con Videla, proprio per capire dove tenessero i sacerdoti arrestati». Si trattava di Orlando Yorio e Francisco Jalics, sulla cui vicenda in questi giorni si sta parecchio fantasticando. «Dire che Jorge Bergoglio consegnò quei sacerdoti è una cosa assolutamente falsa», ha ripetuto il giudice Castelli. A un amico il futuro pontefice confidò «di aver fatto cose da pazzi» nei cinque mesi in cui i suoi confratelli erano tenuti prigionieri. «Non sono mai stato nei luoghi di detenzione, salvo una volta, quando – ha raccontato l’allora primate argentino – mi recai insieme ad altri in una base aeronautica vicino a San Miguel, nella località di José C. Paz, per appurare quale fosse il destino di un muchacho».Insomma, le accuse resuscitate in questi giorni «sono una canagliata», per usare il giudizio di Julio Strassera, storico procuratore nel processo contro la giunta militare responsabile degli anni bui dei desaparecidos. «Tutto ciò è assolutamente falso», ha tagliato corto Strassera. La magistratura argentina, come confermano anche organizzazioni come Amnesty International, è ritenuta la più avanzata dell’America Latina. Alla Chiesa non sono mai stati fatti sconti, come dimostra la vicenda di padre Christian Von Wernich, cappellano di polizia condannato sei anni fa per per il suo ruolo in 7 omicidi, 42 sequestri 31 episodi di tortura.Tra i principali "accusatori" del Papa ci sono alcuni ex guerriglieri monteneros. «Pur sapendo che la via violenta avrebbe causato il golpe, la seguirono con accanimento», ricorda Loris Zanatta, docente di Storia dell’America Latina all’Università di Bologna, in un suo recente saggio per Laterza. «Quando i militari avessero preso il potere, pensavano, il popolo sarebbe insorto. Un popolo in realtà esasperato da anni di violenza e ideologia, che all’ascesa di Videla – ricorda Zanatta – non fece una piega».Uno dei capi montoneros è il noto giornalista argentino Horacio Verbitsky, che su un paio di documenti redatti dalla polizia politica (che lui avversava anche per l’abilità degli 007 nel confondere le acque e rovinare reputazioni, ma a cui adesso dice di credere ciecamente) ha scritto un libro contro Bergoglio.Se si volesse usare la combinazione di sospetti, dietrologie, mezze verità e palesi menzogne, anche Verbitsky non ne uscirebbe indenne. Non tanto per il suo passato di militante rivoluzionario, ma per una coincidenza: nel 2005 appena il cardinale Bergoglio levò la sua voce contro Nestor Kirchner, allora presidente dell’Argentina a cui Verbitsky era molto devoto, uscì il libro con alcune pagine contro il porporato. Quel cardinale che Kirchner definì «vero capo dell’opposizione».                                                          
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