sabato 7 novembre 2015
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«Il Papa ha una sola parola. Se ha detto che il rinnovamento andrà avanti, così sarà. E se qualcuno ha tradito la sua fiducia, il problema è degli eventuali colpevoli. Non certo del Santo Padre». Tono di voce pacato, ma parole ferme quelle del cardinale brasiliano Joao Braz de Aviz. Il prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ha concluso ieri con il suo intervento l’Assemblea della Cism (Conferenza italiana dei superiori maggiori) incentrata sul tema «Il denaro deve servire e non governare». Inevitabile, dunque, parlare anche delle 'rivelazioni' sulle finanze vaticane. Eminenza, dal suo osservatorio, che idea si è fatto della situazione? Ci sono cose e situazioni che vengono dal passato, dal modo di gestire il Vaticano fino a qualche tempo fa. È un bene cambiare. Per esempio, riguardo allo Ior, è stato fatto un grande lavoro, perché alle volte non si conosceva nemmeno l’origine o la finalità dei soldi che vi erano depositati. Ma se la Chiesa vuole operare secondo il Vangelo, non può impiegare il denaro in cose che non servono al bene dell’uomo. Il Papa ha fatto molto per purificare queste situazioni. Nei casi di cui si parla in questi giorni, però, sembrerebbe più una questione di persone. Effettivamente le persone possono tradire la fiducia, perché alle volte non ci rendiamo conto che chi occupa un determinato posto ha dei problemi per così dire strutturali. La Chiesa avrà sempre di queste situazioni, ma l’importante è non avallarle o non nasconderle. Occorre piuttosto risanare. Il Papa spinge a operare proprio in questo senso. E noi siamo con lui, per la trasparenza e il valore della testimonianza e dell’onestà. Se ci sono persone che hanno comportamenti contrari al Vangelo, è chiaro che non possono restare al loro posto. In questi giorni la Cism ha affrontato il tema del rapporto tra consacrati e denaro. E proprio il Papa ha detto nell’omelia di Santa Marta che è triste vedere preti e vescovi attaccati ai soldi. Come orientarsi in questa delicata materia? Papa Francesco ci esorta a ripensare tutta questa dimensione economico-patrimoniale nella Chiesa e in particolare nella vita consacrata. Dobbiamo ripartire cioè dalla visione del Vangelo. Non si può servire a due padroni. Dio deve occupare il primo posto. I beni, che non sono cattivi in sé, vengono comunque dopo e vanno posseduti e amministrati secondo regole che non siano in contrasto con la parola di Gesù. In sostanza dobbiamo tornare a credere di più alla Provvidenza che al conto in banca. Ciò non toglie che i beni vadano gestiti con professionalità, applicando tutte le tecniche che vengono dall’esperienza umana. Anche sotto questo aspetto c’è tanto da progredire. Perché si parla così spesso di scandali legati alla gestione dei beni ecclesiastici? Ci sono problemi, non bisogna nasconderlo. Ma al tempo stesso la stragrande maggioranza dei consacrati vive una testimonianza molto forte riguardo ai beni. La nostra Congregazione si occupa di un milione di persone e di tremila ordini. Io vedo bellissime esperienze di fede nella Provvidenza, di aiuto ai poveri, di corretta amministrazione. Dunque, è più grande il bene che il male, ma questo male bisogna trovare il modo di estirparlo. Quali impegni attendono nell’immediato la sua Congregazione? Il Papa ha chiesto una revisione del documento Mutuae relationes sui rapporti con i vescovi e penso che nel primo semestre del prossimo anno gli consegneremo una bozza. Due sono i pilastri che, per espressa richiesta di Francesco, reggono il testo: restare nell’ambito della spiritualità di comunione e riaffermare la coessenzialità della gerarchia e del carisma nella Chiesa.  Subito dopo l’intervento del cardinale, padre Luigi Gaetani, presidente della Cism, ha così riassunto i lavori dell’Assemblea: «Creare una maggiore unione tra gli Istituti, anche femminili. Difendersi dagli attacchi alle opere. Salvaguardare la dimensione culturale di ordini e congregazioni».
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