giovedì 5 settembre 2013
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La Gran Bretagna non ci sta: il Pae­se è in larga parte contrario all’in­tervento in Siria nonostante il suo premier, il conservatore David Came­ron, sia ancora convinto che un attac­co sia la cosa giusta. Ha detto no la Chiesa, ha detto no il Parlamento, e ie­ri, secondo quanto ha rivelato ieri un sondaggio, ha detto no anche il 77% della popolazione. Una guerra, sostie­ne la maggior parte dei britannici, por­terà solo morte, distruzione e conse­guenze terribili, tra le quali inevitabili attacchi terroristici sull’Occidente.
«Credo che l’invito del Papa alla pre­ghiera abbia avuto un forte impatto sulla coscienza della popolazione – di­chiara ad Avvenire Jonathan Vincent, professore di Storia del Medio Oriente alla Royal Holloway University di Lon­dra –, come anche le recenti parole del- l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby alla Camera dei Lord quando ha fatto appello alla cautela. Certamente anche il voto dei deputati contro l’in­tervento ha contribuito ad alimentare nella popolazione un sentimento ge­nerale di paura e diffidenza verso l’i­potesi di un attacco». Dopo l’invito del Papa a osservare, sabato, una giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria, molte comunità nel Regno Uni­to hanno deciso di partecipare all’ini­ziativa, tra queste anche alcune non cristiane, come il Barnet Community Centre, centro d’accoglienza nel nord di Londra che ha invitato la comunità a recitare sabato preghiere e poesie per la pace in Siria.
Ci sono poi tutte le dio­cesi del Regno Unito che hanno fatto appello ai cattolici perché si osservi il digiuno: quella di Middlesborough, per esempio, ha deciso di stampare e di­stribuire poster invitando tutti alla pre­ghiera. «Papa Francesco – ha dichiara­to l’arcivescovo Vincent Nichols, pri­mate della Chiesa cattolica in Inghil­terra e Galles – ha chiesto di digiunare e pregare per la Siria, e spero che la gen­te di ogni fede accolga il suo appello. È fondamentale che non perdiamo di vi­sta l’imperativo di mettere fine a que­sta catastrofica guerra civile attraverso mezzi pacifici, prima possibile». Anche il leader dell’opposizione labu­rista Ed Miliband ha chiesto ieri al pre­mier David Cameron, in vista del G20 di oggi e domani, di spingere per una soluzione pacifica in Siria e di fare ap­pello ai grandi che si incontrano a San Pietroburgo perché aumentino gli aiu­ti umanitari nella regione.
Ma il pre­mier inglese sembrava ieri più indaf­farato a sbrogliare matasse domesti­che dopo che in mattinata, del tutto a sorpresa, aveva deciso di licenziare u­no dei suoi consulenti più preziosi, il deputato conservatore Jesse Norman, perché si era astenuto durante il voto ai Comuni sulla Siria. «Cameron – com­mentava ieri la Bbc – non sopporta di avere attorno a sé persone che non la pensano come lui e rimane assoluta­mente convinto che un intervento in Siria sia necessario. Ma non sarà faci­le per lui incontrare Obama ora che la sua posizione si è indebolita sensibil­mente ». Il parere della gente sulla crisi siriana è però ormai chiaro. «Cameron non può ignorare la contrarietà dei quasi quat­tro quinti della popolazione – com­menta Alexander De Forges, portavo­ce della cattedrale cattolica di West­minster –. La gente, come ha ribadito il primate anglicano Welby, è consape­vole del fatto che le conseguenze di un attacco saranno incontrollabili in Siria e nel resto del mondo».
Welby aveva e­spresso forte preoccupazione durante il suo recente intervento alla Camera dei Lord, anche pensando alla comu­nità cristiana che si trova in Siria. «Ho parlato qualche giorno fa con un e­sponente cristiano in Medio Oriente – ha sottolineato l’arcivescovo di Can­terbury – e mi ha detto che un inter­vento sarà come una dichiarazione di guerra contro i cristiani della regione, già ampiamente devastati dal conflit­to. Non dimentichiamo che erano due milioni i cristiani in Iraq dodici anni fa, e oggi sono meno di 500mila...».
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