sabato 8 febbraio 2020
Monsignor Erminio De Scalzi, suo primo segretario, racconta quel 10 febbraio 1980. Fu Giovanni Paolo II a chiamare il biblista gesuita sulla cattedra di Ambrogio
Martini con il Vangelo tra le mani il 10 febbraio 1980 in cammino verso il Duomo

Martini con il Vangelo tra le mani il 10 febbraio 1980 in cammino verso il Duomo - Archivio Avvenire

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«Il nuovo arcivescovo che attraversa il cuore della città con il Vangelo tra le mani. Che cammina con la sua gente. E che prima di raggiungere il Duomo chiama tutti a essere operatori di pace, come presagisse l’esplosione del terrorismo che, presto, lo avrebbe portato accanto a tante vittime della violenza». Sono immagini e parole dell’ingresso a Milano di Carlo Maria Martini – avvenuto quarant’anni fa, il 10 febbraio 1980 – che monsignor Erminio De Scalzi, suo primo segretario, custodisce nella memoria del cuore. Ma ve ne sono altre, di quel giorno, delle quali hanno potuto godere solo i più stretti collaboratori del gesuita biblista chiamato da Giovanni Paolo II alla cattedra di Ambrogio: «Quella stessa sera Martini chiamò al telefono il suo predecessore, il cardinale Giovanni Colombo, via da Milano per un periodo di riposo. Quale finezza d’animo, in quel gesto...».

Ascoltare il racconto di De Scalzi, dal 1999 vescovo ausiliare di Milano, è come respirare Martini a due polmoni: il Martini pubblico e quello privato, visto da vicino, nella quotidianità. «Timido, incline ad ascoltare, celava una grande tenerezza d’animo. Volle che il vicario generale e i due segretari – all’inizio Luigi Testore, oggi vescovo di Acqui, ed io – facessimo vita comune con lui condividendo la preghiera, la Messa al mattino, i pasti. A Messa, proclamato il Vangelo, faceva un breve commento. Invitò anche noi a comunicare nella fede qualche risonanza suscitata dalla Parola di Dio. Superato l’imbarazzo dei primi giorni, osammo far diventare preghiera quanto ci passava in animo».

Martini il giorno del suo ingresso a Milano

Martini il giorno del suo ingresso a Milano - Archivio

Due polmoni. Ma un cuore solo. Una sola sorgente, all’origine del Martini pubblico e del privato. De Scalzi ripensa al giorno dell’ingresso: «Il pastore con il Vangelo tra le mani è un’icona impressa nel cuore dei milanesi, che da lui hanno imparato ad amare la Parola di Dio. Iniziare i cristiani comuni alla quotidiana familiarità con la Parola, è stato l’obiettivo primario della sua azione pastorale». Poi ripensa alla prima lettera pastorale, «La dimensione contemplativa della vita», un documento «che sorprese tutti», nella Milano del fare, degli affari, degli affanni. «Non un invito a fuggire la storia ma ad andare alle radici di ogni nostro agire». Come lui per primo faceva.

Toccò a De Scalzi, come primo segretario, organizzare il trasloco di Martini da Roma a Milano. «Immaginavo di dover predisporre numerose casse per l’immensa biblioteca di un eminente studioso. Invece portò pochissimi libri – si serviva della biblioteca della Gregoriana – e pochissime cose». Ecco: «La povertà per lui non era una parola retorica, ma una scelta di libertà radicale e un segno di solidarietà». E la memoria va «al suo primo onomastico da arcivescovo, trascorso servendo i poveri nella mensa di fratel Ettore alla Stazione Centrale».

«Solo il tempo permetterà di comprendere la portata della sua eredità umana e spirituale», riflette De Scalzi tenendo fra le mani un piccolo, prezioso libro di Martini, «Il vescovo», edito da Rosenberg & Sellier. «Un libro che merita d’esser letto, e forse papa Francesco potrebbe farne un gustoso e utile omaggio a tutti i vescovi», suggerisce, sorridendo, l’ex segretario prima di citarne un passo: «Il vescovo deve essere un uomo umile, che vince le durezze con la propria dolcezza, che sa essere discreto, che sa ridere di sé, che sa riconoscere i propri errori. Dunque: anzitutto un uomo vero».

Martini parla in piazza Duomo ai milanesi nel giorno del suo ingresso

Martini parla in piazza Duomo ai milanesi nel giorno del suo ingresso - Archivio Fotogramma

Ebbene: «Uomo di fede, di straordinario intelletto, di singolare carisma, Martini ha saputo guardare lontano come pochi altri – riprende De Scalzi –. La sua visione di Chiesa gli ha procurato a volte incomprensione e isolamento. Il suo era uno sguardo lucido, sempre fiducioso, incoraggiante e mai giudicante. Un pastore delicato, in dialogo con tutti, rispettoso delle persone, della loro intelligenza e autonomia di pensiero. Così divenne punto di riferimento per tanti, ben oltre i confini della Chiesa, coinvolgendo in una profonda ricerca spirituale anche numerose persone che si dicevano non credenti, ma che, in realtà, erano suoi interlocutori "pensosi e attenti ai valori".

Per loro istituì la Cattedra dei non credenti». «In un tempo d’insorgenza dell’antisemitismo – conclude l’ex segretario – mi piace ricordare l’amicizia col popolo d’Israele, radice santa del cristianesimo, quale costante dei pensieri di Martini e del suo insegnamento di quanto unisce ebrei e cristiani. Il suo amore per Gerusalemme ha contagiato tanti preti e fedeli ambrosiani».

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