sabato 3 giugno 2023
Il presidente della Cei in dialogo con la ministra Locatelli sulla legge per le disabilità. «Il progetto di vita sia orientato alla Costituzione, inclusione e lavoro al centro»
Zuppi: «Chiesa e istituzioni insieme per le persone fragili»

Agenzia Romano Siciliani

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Non è un caso che si ragioni di inclusione ed accoglienza di disabili e fragili proprio nel giorno della Festa della Repubblica. Perché appunto quella che è la Carta fondante dei valori su cui è stata costruita la nostra democrazia mette al centro la persona, soprattutto se fragile, l’altro che non è utente ma amico. C’è un noi che va riscoperto, «un noi che include il loro, perché nei tanti campanili del nostro Paese dobbiamo riscoprire la rete», la consapevolezza che «se non rendi forte l’altro, sei tu il debole», non lasciando insomma indietro nessuno. Un obiettivo per cui istituzioni e Chiesa «possono concorrere, perché le persone più fragili siano parte di noi».

Il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, perciò insiste perché la legge delega sulla disabilità i cui decreti attuativi sono previsti per marzo 2024 debba essere concretizzata attraverso progetti di vita «che non siano una camicia di forza, abbiano capacità di adattamento alla persona, siano individualizzati ma non rendano solitari». Nel secondo giorno di lavori del secondo convegno nazionale Noi, non loro, promosso dal Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità nella sede della Fondazione Santa Lucia di Roma che si concluderà oggi, in dialogo c’è appunto il presidente dei vescovi italiani e la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli, moderati dal vicedirettore di Vatican Media Alessandro Gisotti.

Il punto di partenza del ragionamento è la parola sinergia tra istituzioni e Chiesa, che hanno «obiettivi comuni, cioè l’attenzione alla persona che diventa cura nella vita quotidiana», sottolinea la ministra per cui «all’interno del progetto di vita la persona con disabilità non deve essere identificata con la sua malattia», ma valorizzando competenze e talenti che possono aiutare attraverso il lavoro a raggiungere l’autonomia. Anche perché «il noi implica responsabilità» di tutti, anche dei singoli cittadini. Ecco che così, le fa eco l’arcivescovo di Bologna, pensare a progetti di vita individuali «credo che dovremmo farlo per tutti, in particolare per chi è più fragile. Credo che sia una sinergia importante per le istituzioni e anche per la Chiesa nelle varie articolazioni, a difesa del progetto di vita per ogni persona». Certo non è facile, ammettono entrambi, nella società legata al «vorrei ma non posso», ai fondi che arrivano ad intermittenza, bensì riconoscerci come comunità. E magari, sottolinea la ministra Locatelli, guardare «alle piccole esperienze di successo, alle competenze del Terzo settore così importanti per creare un welfare di comunità e un welfare tra le comunità». Chiesa e governo, quindi, «devono lavorare insieme, non solo per il progetto di vita, ma per il miglioramento della qualità della vita delle persone e delle loro famiglie. Unendo le forze e facendo rete con il mondo del Terzo settore, delle associazioni, del privato e del privato sociale ce la faremo».

L’approvazione della legge «non è una elemosina di Stato», sottolinea ancora il cardinale Zuppi, ma va garantito a tutti i livelli un sistema «che deve essere in grado di costruire e progettare». Oltre alle istituzioni c’è infatti «il valore aggiunto di una Chiesa cantiere che non deve essere solo sapienziale ed esperienziale, ma deve diventare progetto e cultura». Facendo in modo che «il pallino della fragilità contagi tutti, anche dentro la Chiesa, perché il noi è costitutivo, non opzionale». Bisogna perciò cambiare tanto nella mentalità, «anche dentro la Chiesa, puntando sulle idee e poi facendo di tutto per trovare i soldi per realizzarle». Punto nodale per un progetto di vita per le persone con disabilità che sia davvero di lungo respiro è centrarlo sull’autonomia ed il lavoro. «Il lavoro tuttavia deve essere buono, che duri», sottolinea. Inoltre, secondo lui, la soluzione non può essere l’istituzionalizzazione, perché «la fragilità e le strutture non vanno molto d’accordo».

La mattinata, che si è conclusa con la lectio magistralis di William Gaventa, fondatore e direttore emerito dell’Istituto di teologia e disabilità, il Disability Ministry Network (Stati Uniti), che è tornato sulla necessità di sviluppare il senso del noi, perché le persone con disabilità si sentano davvero parte della comunità. Ma è un processo, una strada per cui si è già da tempo iniziato un cammino, aveva ricordato in apertura dell’incontro Suor Veronica Amata Donatello, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità della Cei, «che per noi è un servizio a due polmoni, alla disabilità congenita e alla fragilità acquisita».

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