mercoledì 29 aprile 2020
In uno dei centri più colpiti dal Covid-19, l’ultima settimana ha riservato tanti spiragli di luce
Zero decessi e quattro bimbi: a Nembro rinasce la speranza

Ansa

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Lo spiraglio della luce sembra arrivare anche lì, in una comunità ferita indelebilmente dalla malattia. A Nembro, quel pezzetto di Bergamasca dove il Covid ha colpito con maggior brutalità, nell’ultima settimana non si sono registrati decessi, anzi sono nati quattro bambini. «Una buona notizia per tutti», ha sottolineato il sindaco Claudio Cancelli in un messaggio ai concittadini. «Non possiamo ovviamente pensare di essere tornati alla normalità – ha aggiunto il primo cittadino, anch’egli colpito dal virus nelle fasi iniziali dell’epidemia, senza però accusare sintomi gravi e continuando a lavorare –. Sappiamo che ci sono ancora persone ammalate, non siamo usciti dall’emergenza. Per questo continueremo a impegnarci con tutte le nostre capacità e con l’aiuto di tutti. Ma crediamo che questo dato di una situazione migliorata sul fronte dei decessi, assieme a quello della nascita nello stesso periodo di quattro bambini sia un segnale di speranza». Nathan, Francesco, Filippo ed Emily: questi i nomi dei nuovi cittadini nembresi, vite sbocciate in una tempesta non ancora del tutto placata.

La malattia, in questo centro di 11.500 abitanti, va ben oltre i numeri ufficiali che raccontano di circa 240 contagi dall’inizio dell’emergenza. Ma in quella cifra ci sono solo coloro che sono stati sottoposti al tampone, una porzione infinitesimale rispetto alla portata reale dell’epidemia, se è vero che dal 23 febbraio a metà aprile l’anagrafe comunale ha contato oltre 170 decessi, con punte di dieci vite spezzate al giorno; per fare un paragone, in tutto il 2019 erano morte 121 persone. Un’altra indicazione giunge dalle stime sugli esiti parziali dei test sierologici lanciati dalla Regione, secondo cui oltre il 50% degli "esaminati" nembresi – partecipa allo screening chi ha manifestato i sintomi ma non è mai stato sottoposto al tampone – avrebbe già sviluppato gli anticorpi, dunque avrebbe contratto la malattia.

A distanza di tempo dai giorni caotici attorno al 6 marzo, quando 300 uomini tra carabinieri ed esercito erano pronti a cinturare Nembro e Alzano Lombardo (l’altro centro della bassa Val Seriana epicentro dei contagi), resta sempre una domanda: una zona rossa avrebbe contenuto i danni? Attorno a questo interrogativo s’è animata anche la conferenza stampa di Giuseppe Conte in visita a Bergamo nella tarda serata di lunedì: «Nel momento in cui era stata proposta, si è cercato di esaminare le ragioni sulla base del numero di contagi, che appariva già diffuso non solo nei due piccoli centri (Nembro e Alzano, ndr), ma anche per esempio a Bergamo città. La sera del 5 marzo arrivò la relazione, il 6 mi sono precipitato in Protezione civile per capire quale fosse la soluzione migliore, la sera del 7 ho varato la zona rossa per l’intera Lombardia». Del rapido blitz di Conte in terra orobica, i due sindaci di Nembro e Alzano non erano stati avvertiti. «Non fare la zona rossa è stato un errore, in un rimpallo tra Regione e governo – è stato il commento di Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, a margine dell’incontro con Conte –. Ma penso anche, con onestà, che la zona rossa non avrebbe fermato un’epidemia che era già qui da tempo, probabilmente già da dicembre».

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