giovedì 6 aprile 2017
L'ex presidente della Società italiana cure palliative: la legge introduce una forzatura nel rapporto tra medico e paziente
Giovanni Zaninetta, ex presidente della Società italiana cure palliative

Giovanni Zaninetta, ex presidente della Società italiana cure palliative

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Il disegno di legge (Ddl) sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) agita il mondo delle cure palliative. Un documento critico sulle forzature che il Ddl introduce nella relazione tra medico e paziente, e sullo stravolgimento del ruolo delle cure palliative vede tra i firmatari Giovanni Zaninetta, direttore dell’hospice Domus Salutis di Brescia ed ex presidente della Società italiana di cure palliative (2007-2010).

Con queste Dat, che cosa cambia nel rapporto medico-paziente?

Se tutto nell’attività di cura diventa opinabile, e noi medici dobbiamo fare comunque quello che dice il malato, assistiamo a una forzatura rispetto al testo della Convenzione di Oviedo sulla biomedicina, che indicava la necessità di «tenere conto» della volontà del paziente. Ma non ci può essere autonomia di un soggetto a scapito di altri e nessuno, nei fatti, può decidere da solo.

Il medico che farà la volontà del paziente sarà esente da responsabilità civile e penale. È qui il problema?

Mi pare si possa vedere una certa ipocrisia nel non voler chiamare le cose con il loro nome. Oncologi e palliativisti sanno che nei momenti terminali di una malattia può essere inutile nutrire e idratare un paziente. Ma la deresponsabilizzazione a priori di chi esegue gli ordini del paziente è poco coerente verso figure professionali chiamate a prendersi cura dei malati. E non è la stessa cosa parlare di un soggetto con tumore (o con ma-lattie neurodegenerative come la Sla) o di una persona in stato di coscienza alterata, che non ha alcuna patologia che progredisce.

Perché lamentate una «distorsione della medicina palliativa»?

L’art. 1 c. 6 del Ddl sembra presentare le cure palliative come opzione residuale, quando il paziente ha rifiutato le cure. Sembra il tentativo di incapsulare la legge 38 in una dimensione sanitario-organizzativa che vuole aprire la strada a ipotesi eutanasiche, senza citarle. Ma la medicina palliativa nasce con altri scopi e ci siamo battuti per renderla operativa con altri obiettivi. Le cure palliative, come dice la legge 38, sono «una cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici».

Come va affrontata da medico e paziente l’evoluzione di una malattia?

Parlando da un osservatorio privilegiato come quello della medicina palliativa, credo si debba puntare di più su una pianificazione delle cure. Per esempio, se un soggetto manifesta alterazioni cognitive che preludono all’Alzheimer, o riceve una diagnosi di Sla o di una patologia tumorale, è opportuno che ragioni con il medico di quelli che saranno i supporti di cui avrà bisogno e di quelli a cui potrà eventualmente rinunciare. Viceversa se la legge – per un approccio ideologico – scavalca la riflessione e vuole introdurre diritti in maniera acritica, allora spererei che non venga votata e che rimanga la situazione attuale, con un medico e un paziente che dialogano in scienza e coscienza».

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