sabato 14 maggio 2016
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Bergamo. «Yara provò dolore e paura: si rese conto delle lesioni che le venivano inflitte». Durante la requisitoria finale del processo a Massimo Bossetti, unico imputato per l’omicidio della tredicenne di Brembate Sopra, la pm Letizia Ruggeri descrive con minuzia le crudeli sevizie subite dalla vittima mentre giaceva inerme, ancora viva ma stordita da una botta alla testa. Le ferite, dice l’accusa, furono inferte nel campo di Chignolo (dove fu trovato il cadavere) e andarono ben oltre il cosiddetto animus necandi: alcune, come il taglio «ad X» sulla schiena, sembravano «quasi disegnate». C’è dunque l’aggravante della crudeltà che, sommata alla condizione di 'minorata difesa' derivante dalla minore età, dal luogo isolato e dal buio, potrebbe portare alla richiesta dell’ergastolo per il muratore. Bisognerà però aspettare il 18 maggio per saperlo, visto che ieri più di 7 ore non sono bastate per ripercorrere 5 anni di indagini. Ancora una volta, la pm ha ribadito che Yara era una ragazzina «assolutamente limpida», che non dava confidenze agli estranei e che viveva nel piccolo mondo racchiuso tra casa, scuola e palestra. Dopo aver ricostruito la giornata del ritrovamento del corpicino («un punto fermo dopo tre mesi di indagini faticose»), la pm Ruggeri si è soffermata sulla caccia scientifica a «Ignoto 1», partita dalla traccia trovata sugli slip di Yara. Una traccia che, la procura non ha dubbi, appartiene a Massimo Bossetti. «La bontà di questo percorso scientifico – ha spiegato il pm – è data dal fatto che il match (confronto) del dna è stato fatto ad un uomo nato e cresciuto in queste zone, che lavora nell’edilizia, con lavori sempre svolti in zona». E questo esclude che «si sia voluto trovare un colpevole a tutti i costi». Ruggeri ha aggiunto che Bossetti non ha fornito un alibi per il 26 novembre 2010 e che tentò di scappare quando i carabinieri andarono ad arrestarlo. Marco Birolini © RIPRODUZIONE RISERVATA La tredicenne Yara Gambirasio
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