martedì 7 dicembre 2010
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Davanti a casa Gambirasio ci sono più giornalisti che curiosi. Nonostante le telecamere sempre in agguato, il dramma di Yara non si trasforma però in show mediatico. Brembate Sopra resta chiusa nel suo dignitoso silenzio, deludendo le attese di chi vorrebbe spettacolarizzare l’angoscia di una famiglia e di una comunità intera. È andato a vuoto anche il tentativo di solleticare gli istinti peggiori. La "rivolta" razzista auspicata da qualcuno dopo il fermo del marocchino non ha attecchito, sciogliendosi in fretta come la neve che cade in questo gelido inizio d’inverno. Domenica sono spuntati un paio di cartelli contro i nordafricani, poi il presidente dei Volontari Verdi, considerati vicini alla Lega, ha provato inutilmente ad appiccare il fuoco della vendetta. «Basta con questi stranieri che non si integrano e ci fanno del male: è ora di mostrare i denti...», ha sparato Efrem Belussi, già indagato a Venezia per un pestaggio ai danni di due camerieri stranieri durante un raduno padano di un anno e mezzo fa. Nessuno l’ha preso sul serio e i cattivi pensieri sono finiti lì. La Lega ha mostrato prudenza e buon senso, rifiutandosi di cavalcare l’onda dell’intolleranza. «Sono dichiarazioni inutili e stupide di chi va solo in cerca di pubblicità - ha tagliato corto il segretario provinciale Christian Invernizzi -. Non è il modo di affrontare la situazione». Il sindaco Diego Locatelli aveva già provveduto a prendere le distanze: «Qualcuno ha sfogato a modo suo la rabbia per ciò che sta accadendo, ma questo non è il pensiero della Lega e della nostra comunità. La Lega amministra Brembate da vent’anni e non ci sono mai stati problemi con gli extracomunitari, che sono perfettamente integrati. Ci dissociamo da questi cartelli: noi non emettiamo condanne a priori». Una lezione di civiltà sposata in pieno da un paese di circa 7mila abitanti in cui vivono senza fastidi oltre trecento stranieri, in maggior parte nordafricani. Almeno fino a domenica, quando alcuni media hanno iniziato a soffiare sul fuoco. «In giro non si vedono più immigrati - spiega un anziano - di solito li vedevi al bar, adesso sembrano scomparsi». C’è il timore di subire rappresaglie, nonostante la voglia di vendetta sia l’ultimo pensiero dei brembatesi. «Possono sbagliare loro come sbagliamo noi - sospira una donna - Ma non tutti gli stranieri sono delinquenti. E poi ricordiamoci che se vengono qui è per fare i lavori che i nostri ragazzi non hanno più voglia di fare». Prevale semmai la volontà di fare qualcosa, di rendersi utili magari anche solo per sentirsi meno impotenti di fronte a un’angoscia così grande. Mentre le idrovore dei pompieri prosciugano uno stagno nell’ennesimo tentativo di trovare il corpo della ragazzina, un quarantenne osserva le operazioni e dice: «Sono venuto qui per dare una mano, ma ci sono già tanti specialisti al lavoro. Mio figlio frequenta la stessa scuola di Yara, questa storia mi ha colpito molto. E non fa differenza che chi ha fatto questo sia italiano o straniero. Semmai dà fastidio passare per razzisti a causa di un paio di imbecilli». Le ricerche intanto proseguono, anche se la speranza sta lentamente lasciando spazio alla rassegnazione. «Il morale è a terra... - ammette un volontario -. Il via vai di mezzi e uomini è continuo, l’impegno non manca. Ma abbiamo davvero cercato dappertutto». Yara non si trova, ed è l’unica cosa che conta davvero in questa brutta storia. La realtà non è un reality, Brembate l’ha capito subito. Le telecamere rigirano il dito nella piaga e da queste parti si preferisce soffrire lontano dalle inquadrature, scansando microfoni e taccuini. Sapendo che il peggio potrebbe ancora arrivare.
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