mercoledì 8 dicembre 2010
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Adesso che l’unico indagato è stato scarcerato, si fa fatica persino a sperare. Dieci giorni dopo la scomparsa di Yara, Brembate Sopra si trova intrappolata in un labirinto di angoscia che non mostra vie d’uscita. Dov’è Yara? Se non è stato il marocchino Fikri, chi l’ha presa? Mentre le ricerche continuano, la gente cerca risposte che nessuno può dare. Non i carabinieri, non la magistratura, che finora non sono riusciti a trovare la chiave dell’enigma. La soluzione sembrava a un passo e invece bisogna ricominciare daccapo. «Adesso è anche peggio di prima - sospira un’anziana - Questo è un paese scioccato: le sensazioni in questo momento sono tante, ma è meglio tenersele dentro e restare in silenzio per rispetto della famiglia». Silenzio per scelta, ma anche per necessità. Perché tutto è stato detto e ora non resta più niente da aggiungere. I discorsi girano a vuoto e si accartocciano su se stessi, come le ricerche. Si torna sempre allo stesso punto, non si va avanti di un millimetro. Anche la bussola delle emozioni è disorientata. «Se almeno si sapesse qualcosa - dice una donna - Ma sappiamo solo quello che dice la televisione. Dicono che sia stata rapita, che sia scappata, ma sono tutte congetture. Oppure addirittura frottole». C’è il bisogno di fermarsi a raccogliere le idee, per tentare di capire come uscire da un incubo che assume risvolti surreali. Dentro un bar, gli avventori guardano la tv e vedono se stessi e il loro paese. Uno specchio che deforma la realtà quotidiana, riflettendo solo dubbi e sinistri accostamenti. Una trasmissione del pomeriggio parla di Brembate e di Avetrana, un cinquantenne coglie la cupa assonanza: «Yara e Sara, che sfortuna...». Davanti ai taccuini la gente scuote la testa: «Tutti sperano che sia ancora viva, ma più il tempo passa più le possibilità diminuiscono», osserva un negoziante che ormai vede entrare più giornalisti che clienti. Anche la fiducia negli investigatori sta scendendo ai minimi termini: «I cani hanno portato verso il cantiere, ma ci si può fidare di un cane?».Vicino alla chiesa, incuranti della pioggia che non dà tregua, spuntano alcuni giovani. Hanno poco meno di vent’anni, come il testimone Enrico Tironi. «Alla fine lui è un bravo ragazzo - dice uno, alto e pallido. - Non è un mitomane, qui in paese non c’è gente che racconta favole. Se ha detto di aver visto qualcosa c’è da credergli. Poi magari ha ritrattato perché si è spaventato per esser finito dentro una storia enorme. Yara? La conoscevamo di vista ma non la frequentavamo: siamo troppo grandi rispetto a lei». Possibile che proprio qualcuno «più grande di lei» sia l’orco che l’ha portata via? «In paese c’è solo brava gente, non è mai successo nulla. Anche con i marocchini non ci sono mai stati problemi. E nella nostra compagnia nessuno è mai stato avvicinato o molestato. Brembate è sempre stato un paese tranquillo: senza questa storia nessuno avrebbe mai scoperto la sua esistenza». Nel momento più buio di questi giorni terribili, quando qualcuno ha iniziato ad agitare lo spettro del razzismo, il sindaco Diego Locatelli è riuscito a tenere acceso il lume della ragione e a tenere lontana Brembate da ogni isterismo. E dal Quirinale qualcuno ha visto e ha apprezzato. Il presidente Giorgio Napolitano ha preso il telefono e ha chiamato per manifestare solidarietà a un sindaco che sta dimostrando di meritarsi in pieno la stima dei suoi elettori. La telefonata di Napolitano si è conclusa con l’invito a portare un messaggio di vicinanza alla famiglia di Yara. «Io ho immediatamente telefonato a Fulvio Gambirasio - ha detto Locatelli - e anche lui è rimasto molto colpito dall’affetto dimostrato».
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