venerdì 2 luglio 2010
Sos paraplegici: i fondi sono stati stanziati, ma in Meridione le strutture specializzate rimangono sulla carta e i pazienti rischiano anche la vita. Le sanità regionali? Preferiscono pagare le trasferte al Nord.
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Trecentocinquanta posti, distribuiti in sette strutture, concentrate tutte al Centronord. Tanto poco offre, il nostro Paese, a chi rimane paralizzato, vittima di una lesione spinale. Prima della piaga dei disservizi, delle così spesso documentate barriere architettoniche e delle discriminazioni, un esercito di ottantamila persone – che aumenta di 2400 unità ogni anno, al ritmo di sette nuovi casi ogni giorno – chiede aiuto, e non ne trova. Trecentocinquanta possibilità di essere curati, e salvati, contro ottantamila richieste: numeri da far venire i brividi. Ma le cattive notizie sono solo all’inizio, almeno secondo l’ultima ricerca dell’Istud, i cui dati sconfortanti sono stati diffusi lo scorso aprile.A cominciare dall’identikit dei paraplegici, che per il 70 % hanno meno di trent’anni. Giovani e giovanissimi, il più delle volte inchiodati alla carrozzina in seguito a incidenti stradali: segno che il dramma della sicurezza alla guida è lontano dall’essere circoscrivibile alle sole vittime del "sabato sera" (che tuttavia non danno cenno a diminuire). E poi gli incidenti sul lavoro, che negli ultimi anni hanno letteralmente moltiplicato le schiere dei pazienti affetti da lesioni spinali, al punto che alla Federazione delle associazioni italiane che li rappresentano (la Faip) si parla ormai di un vero e proprio allarme. «Un dramma che coinvolge sempre più anche gli immigrati – spiega il presidente della Faip. Raffaele Goretti – con tutte le conseguenze che il fenomeno comporta tra queste persone, spesso meno tutelate dei nostri connazionali, anche a livello sanitario, e costrette a far ritorno nei propri Paesi dopo i primi soccorsi, in un’odissea che compromette del tutto le già poche possibilità di recupero».Ma è soprattutto la situazione assistenziale a gettare nello sconforto le famiglie di questi malati. Che avrebbero bisogno di strutture specializzate, capaci di gestire l’emergenza già nelle prime ventiquattr’ore dal trauma, quelle determinanti per stabilizzare le lesioni spinali e spesso per salvare la vita di chi le riporta. Nel nostro Paese si chiamano "unità spinali unipolari", centri in cui un paraplegico può trovare tutte i presìdi e le competenze necessarie al suo percorso riabilitativo senza dover passare di reparto in reparto, o di ospedale in ospedale, per essere curato. E ne esistono appena 7, neppure una al Sud: come dire che, se chi ha un incidente stradale a Napoli, o a Palermo, non viene portato abbastanza in fretta in un centro specializzato del Nord, delle conseguenze di una lesione spinale può anche morire. I numeri, d’altronde, parlano chiaro: soltanto 3 persone su 10 vengono ricoverate in questi centri dopo il trauma, e di queste la metà – come ovvio, visto la localizzazione delle strutture – sono residenti nelle regioni settentrionali.«All’origine di un così vistoso divario – continua Goretti – il ritardo "congenito" del nostro Paese, che ha mosso i primi passi nel campo dell’assistenza ai paraplegici solo a partire dalla fine degli anni Ottanta (gli altri Paesi d’Europa ci hanno pensato già nel Dopoguerra) e che è arrivato a formulare delle linee guida per la riabilitazione di questi pazienti solo nel 1998». E poi una latitanza delle istituzioni, in un gioco di rimpalli per cui i fondi – anche se pochi – vengono stanziati e non diventano progetti. Un fenomeno "ingiustificabile" persino per le istituzioni, visto che «i soldi vengono dati a tutte le Regioni d’Italia in base al numero degli abitanti», come ha sottolineato in occasione della Giornata dedicata ai paraplegici (il 4 aprile) il sottosegretario al Lavoro, alla salute e alle politiche Sociali, Francesca Martini. «Noi stiamo chiedendo di più – ha continuato – poiché a seguito dell’accordo Stato-Regioni del 2004, le Unità spinali dovevano essere calibrate in modo da averne una ogni due milioni di abitanti. Purtroppo non è stato così e resta necessario aumentarne il numero: 10,5 milioni di euro sono stati stanziati nella Finanziaria del 2007 a tale scopo e ad oggi sono circa 15 i progetti presentati per implementare l’esistente o attivare nuove Unità spinali. Come quello della regione Basilicata». Dove però ancora non esiste nulla.
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