mercoledì 5 maggio 2010
In Sicilia lo stato mette all’asta i beni delle vittime per rifarsi delle tasse non pagate a causa dei versamenti agli strozzini. Famiglia rischia di perdere casa e negozio. Domani l’asta. La morte del “cravattaro” bloccò il processo penale e la conseguente erogazione di fondi
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«Ciò che ci sta accadendo ha il sapore amaro di una beffa. Lo Stato, che si fa vanto di sostenere le vittime di usura, domattina si prenderà i nostri beni, casa e tutto il resto, per rifarsi delle tasse che non avevamo pagato mentre eravamo strangolati dagli strozzini…». Giuseppa Occhipinti è una signora cinquantenne del Sud, di quelle impastate con ferro e tenacia. Eppure fatica per non commuoversi, mentre racconta la storia della sua famiglia. Lei e suo marito, Nunzio, vivono a Comiso, in provincia di Trapani, dove gestiscono da anni un negozio di fotografia. Hanno tre figli grandi. La maggiore, 35 anni, combatte sin da bambina con una grave malattia, che richiede cure costose. Ed è proprio per pagare quelle terapie che, nel 1992, Nunzio chiese aiuto ad uno zio, che aveva fama di prestare soldi con una percentuale d’interesse. «Ci diede quaranta milioni, ma il debito crebbe per via degli interessi mostruosi, fra il 78 e il 102%, che ci applicava - racconta Giuseppa -. Si prendeva i nostri incassi. E in più ci faceva firmare assegni con cifre enormi. Quindici anni dopo, gli avevamo restituito 61mila euro, ma lui possedeva ancora nostri assegni per centinaia di migliaia di euro. I suoi figli pretesero di incassare quel denaro. Fu allora che lo denunciammo per usura…».Contestualmente all’avvio del processo, Giuseppa e Nunzio inoltrarono domanda in Prefettura per accedere ad un finanziamento del Fondo per le vittime d’usura: «250mila euro, coi quali avremmo potuto pagare i creditori e le tasse arretrate allo Stato». La normativa però collega lo stanziamento all’esito del processo penale: «Ed è stata la nostra disdetta. Nell’aprile 2009, quando le indagini erano ormai terminate, lo zio usuraio è morto. E ciò ha posto fine all’inchiesta. Non però le pretese dei figli, che hanno ereditato gli assegni dal padre e ci hanno fatto causa per incassarli».Ma non basta. Il racconto dei coniugi Occhipinti rischia di avere un finale ancor più sconcertante: «L’erario, al quale dobbiamo migliaia di euro di tasse, ha chiesto al tribunale di mettere all’incanto i nostri beni. A settembre l’asta è andata deserta, ma domattina l’amministrazione pubblica potrebbe aggiudicarseli, lasciandoci senza casa e senza negozio».
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