domenica 21 luglio 2013
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«Viviamo in un mondo in cui emergono tante povertà. Una delle più drammatiche è la povertà educativa, perché l'assenza di luoghi e di persone capaci di raggiungere tanti giovani smarriti impedisce di destare in loro il desiderio di verità che pure portano nel cuore. Qui, a Ca' Edimar, ci proviamo ogni giorno, da tredici anni, a destare questo desiderio».
La vita di Mario Dupuis è tutta segnata dalla parola educazione. Padre di tre figli, insegnante per vent'anni, poi fondatore, con altri amici, di questo villaggio della carità alla periferia di Padova nato da un vecchio cascinale ristrutturato e che negli anni si è ampliato mantenendo la struttura tipica di un insediamento rurale della campagna veneta. Abita qui con la moglie e un'altra famiglia, le spine dorsali di un'opera a cui prestano la loro collaborazione in varie modalità dieci nuclei familiari e un pugno di educatori e volontari. Ca' Edimar ospita due comunità per ragazzi in difficoltà, Casa Fraternità e Casa Anna (intitolata alla figlia di Dupuis, disabile grave e morta in tenera età), una scuola di cucina e una di panificazione nata dalla collaborazione con il Gruppo panificatori e pasticceri della provincia di Padova che ogni giorno sforna, tra l'altro, decine di chili di pane distribuiti ai poveri della città attraverso associazioni benefiche. Ma l'associazione estende la sua attività anche oltre queste mura, promuovendo percorsi di rimotivazione all'apprendimento nelle scuole della città, attraverso il "Centro per le difficoltà di apprendimento" attivato in collaborazione con l'Università di Padova. Occhi azzurri, barba bianca, uno sguardo intenso da cui è difficile non farsi calamitare, Dupuis è colto da un sussulto mentre elenca le opere che sono nate negli anni: «È vero, facciamo tante cose, ma tutto potrebbe finire anche domani se all'origine non ci fosse la carità, la carezza di Cristo che si china sulle ferite dell'uomo. È solo facendo memoria ogni giorno di questo che possiamo resistere, soprattutto in tempi di crisi come questi, con gli enti locali che ritardano i pagamenti per i tagli alle spese pubbliche e i finanziamenti che diminuiscono. Quando tutto intorno sembra vacillare, sei costretto a chiederti cosa tiene in piedi le opere che hai generato. E, più radicalmente, cosa tiene in piedi la tua vita. Ho imparato questo modo di guardare l'esistenza nella lunga amicizia con don Giussani e con la comunità di Comunione e liberazione, e confesso che è questo il mio unico, vero tesoro.
L'accoglienza non può diventare una professione, non è appannaggio di famiglie eccezionali o particolarmente generose. È qualcosa che nasce dal rendersi conto che prima di tutto siamo stati accolti noi da Cristo, con i nostri limiti, le nostre miserie e la nostra capacità di amare, limitata e insieme immensa. Lo ha scritto in maniera magistrale Benedetto XVI nell'enciclica "Deus caritas est": "L'amore-–caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c'è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell'amore"». Per questo lo slogan di Ca' Edimar è "accogliere perché c'è". Non servono spiegazioni sociologiche o analisi politiche, non servono ideologie. L'accoglienza è un dato che appartiene all'esperienza elementare dell'uomo, e per essere praticata ha bisogno anzitutto di uomini, prima che di esperti. Di uomini affascinati dall'incontro con Cristo, oggi.
È per questo che Gianpietro Cuppoletti, responsabile commerciale di un'azienda di marketing, è venuto a vivere qui con la moglie e le due piccole figlie in un piccolo appartamento, lasciando la sua casa di Cuneo. «Chi me l'ha fatto fare? Il fascino di un'esperienza radicale come quella che Mario Dupuis vive qui. Dalla vita avevo avuto molto: carriera, soldi, successo. Ma non mi bastava, il mio cuore cercava di più, desiderava quella totalità che solo Gesù può dare. Così, quando ho conosciuto Mario e lui mi ha proposto di venire a vivere a Ca' Edimar, ho percepito che quella totalità era possibile. Ho quasi cinquant'anni, non posso più perdere tempo in cose che non costruiscono la mia persona». Dal 2001 centinaia di adolescenti hanno trovato tra queste mura un abbraccio che li ha aiutati a ripartire, a riprendere gli studi, a trovare un lavoro, ad avere uno sguardo buono su un mondo da cui si erano sentiti traditi o ignorati. Uno di loro, alla fine dell'anno scolastico, ha scritto su un biglietto: «Mi sento bene quando mi sento qualcuno per qualcun altro». Per molti di loro, che il padre non l'hanno più o è come se non l'avessero, Dupuis è come un padre, ma lui è agli antipodi del guru. «Per qualcuno rubare un motorino è il primo modo per dimostrare che "io valgo qualcosa". Qui li accompagniamo a scoprire la positività troppe volte inespressa che portano dentro di sé. Ho visto gente che dopo avere frequentato la scuola bottega di panificazione ha continuato gli studi e si è iscritta all'università. La nostra esperienza testimonia che non c'è nessuno che non sia educabile - dice Dupuis -. Dobbiamo offrire un abbraccio incondizionato, invece il nostro sistema di formazione è ancora troppo rigido. C'è bisogno di più flessibilità. Ma soprattutto c'è bisogno della carità». Ogni sera, prima di cena, una campana invita a un momento di preghiera nella cappella per offrire e chiedere a Dio tutto quello che la giornata ha dato. Qualche ragazzo venendo ad abitare qui ha incontrato la fede. Pochi giorni fa il vescovo di Padova, Antonio Mattiazzo, ha amministrato la cresima a due di loro, e al termine della cerimonia ha detto: «Spesso ci si domanda dov'è il Signore. Quando uno vede opere come questa, si vede che Lui c'è».​
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