giovedì 3 ottobre 2019
Il viaggio di Avvenire nelle esistenze di chi ha subito gli effetti del giro di vite sull’accoglienza. Storie di dolore ma anche di speranza, grazie all’impegno coraggioso e gratuito del Terzo settore
Vite dimenticate e finite nel limbo. Ora serve una risposta dello Stato
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Si vive nel limbo perché nel limbo si finisce. Non per scelta, ma per legge. È il destino di migliaia di migranti nel nostro Paese, quello che abbiamo raccontato tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, a cavallo di due diverse stagioni politiche. Storie che hanno in comune da un lato l’assoluta precarietà dei loro protagonisti, chiamati a vivere “più vite” in una vita sola, e dall'altro la testimonianza operosa e silenziosa di tanti educatori, psicologi, medici e volontari che li hanno incontrati nel loro peregrinare.

Il bilancio del nostro viaggio non può che partire da questa constatazione: più è profondo il travaglio del migrante finito nel girone degli “invisibili”, più si allarga il bisogno di solidarietà nascosto nelle comunità. Erano tre gli aspetti che volevamo decifrare in questo percorso di svelamento: quanto pesasse, nelle storie di queste persone, l’abolizione della protezione umanitaria decisa un anno fa; quanto si fosse ristretto il pe- rimetro dell’accoglienza dopo il ridimensionamento degli Sprar; chi e in che modo potesse rispondere alla presenza dei migranti irregolari. Ci siamo imbattuti, in questo modo, in vicende sorprendenti che dimostrano quanto poco buon senso ci sia stato in alcune scelte legislative e quanto invece sia fondamentale la supplenza esercitata dal tanto vituperato Terzo settore.

Avere un contratto di lavoro a tempo, ad esempio, è stata un’aggravante per chi ha chiesto in questi mesi di poter rimanere in Italia: molti racconti ce l’hanno ricordato, si trattasse degli ex “sfruttati” della piana di Gioia Tauro oggi impiegati nei vivai del Sud o del pizzaiolo di Milano accolto dalla Caritas. Neppure i percorsi scolastici e di apprendimento della lingua italiana, le attività sportive o di volontariato che alcuni hanno intrapreso, sono garanzia di permanenza nel nostro Paese, soprattutto se si affronta il delicato passaggio alla maggiore età. Per non parlare della questione abitativa: a Bergamo abbiamo raccolto testimonianze di “invisibili” che si accalcano alla stazione e hanno come riferimento i dormitori pubblici: di fatto non esistono.

E anche la provenienza conta molto relativamente oggi davanti alle Commissioni territoriali, perché diventa sempre più difficile dimostrare di essere in situazione di oggettivo pericolo in caso di rimpatrio forzato nel proprio Paese d’origine. I rimpatri, appunto. Sono fermi, perché nessuno riesce a rendere operative le scelte dei giudici e perché mancano accordi bilaterali con gli Stati interessati. Su tutto, trionfa esasperante la cronica burocrazia italiana, che allunga i tempi di attesa, cambia norme in corso d’opera, di certo non semplifica percorsi già molto complicati. Anche i legami familiari non sono di per sé una garanzia, come ha dimostrato la bella storia di Cosenza di una coppia unita in vincolo d’amore dal matrimonio e di fatto separata dai diversi pronunciamenti della magistratura, tra chi ha diritto d’asilo in Italia e chi non ce l’ha.

I nodi lasciati aperti dalla nostra inchiesta sono sostanzialmente tre e spetterà al nuovo ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, farsene carico nei prossimi mesi.

Riguardano la reintroduzione della protezione umanitaria, la cui concessione è crollata da oltre il 20% al 2%; l’abrogazione della norma riguardante la residenza dei richiedenti asilo; il riavvio di un sistema nazionale di accoglienza che promuova l’inclusione sociale di richiedenti asilo e titolari di protezione. Sono peraltro tre dei punti contenuti nell’appello lanciato recentemente dalla campagna “Io Accolgo”, che racchiude le principali organizzazioni del Terzo settore attive nel campo dell’immigrazione e della tutela dei diritti umani. Sono passi obbligati, che permetterebbero di fare chiarezza e portare alla luce tante storie nel limbo, che meritano una risposta civile da parte dello Stato.

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