domenica 16 dicembre 2018
L'aggressione non ha fermato i volontari della Caritas di Aversa, in aiuto degli ultimi e degli stranieri che vivono in strada
Antimo, Davide, Francesca, Mary, Paco e Rocco sono ancora in giro ad aiutare con la ronda. «Anche quei ragazzi che ci hanno aggredito devono essere aiutati». Ma chi vive in strada adesso ha paura

Antimo, Davide, Francesca, Mary, Paco e Rocco sono ancora in giro ad aiutare con la ronda. «Anche quei ragazzi che ci hanno aggredito devono essere aiutati». Ma chi vive in strada adesso ha paura

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«Anche quei ragazzi che ci hanno aggredito devono essere aiutati. E noi siamo pronti a farlo». Così parlano i volontari della Caritas di Aversa che sabato scorso sono stati aggrediti da un gruppo di dieci minorenni mentre stavano assistendo i senza fissa dimora che cercano riparo nella zona della stazione. Dopo una settimana Antimo, Davide, Francesca, Mary, Paco e Rocco sono ancora qui. «No, nessun passo indietro. Non potevamo interrompere il servizio», insistono. Non hanno voglia di parlare dell’aggressione. «È andata bene. Abbiamo fatto di tutto per non reagire», si limitano a dirci, sorvolando sulle botte e i pesanti insulti. Sorridono questi ragazzi dalle facce normali che non fanno solo le ronde notturne della solidarietà, ma in settimana si occupano anche del centro di ascolto, della mensa, delle docce, della casa di accoglienza 'Gratis accepistis'.

E proprio da qui partiamo a bordo del van della Caritas. Ma ci blocca una donna. Sembra giovane ma ha il viso di una vita molto vissuta. Ha 37 anni e tre figli tra 7 e 13 anni. Sta male e vuole delle medicine. E racconta della causa in tribunale proprio per l’affido dei tre bambini. Anche lei viene dalla strada, ora sta col compagno in una casa ma viene sempre alla mensa e a farsi una doccia. Vita da 'barbonismo domestico', come tante altre. I volontari la ascoltano e le danno appuntamento per il pranzo di domani. E si parte. Destinazione stazione. Questi ragazzi ci vanno da cinque anni e spesso si aggiungono giovani dei gruppi parrocchiali. Sono le 21,30, fa molto freddo e piove. Ma questa sera di senza fissa dimora non c’è traccia. Sicuramente c’è la paura di essere aggrediti da questa o altre baby gang, visto che il bersaglio sembra fossero proprio loro, come in altre occasioni. Ma ad allontanare gli 'uomini chiocciola' è sicuramente anche la presenza delle forze dell’ordine che dopo i fatti di sabato controllano con maggiore attenzione tutta l’area.

Chissà dove sono finiti? Qualcuno è stato accolto nella casa di accoglienza che ora ne ospita 22. «Altri avranno cercato riparo più lontano, in campagna. Ci hanno detto che qualcuno prende il treno e va a dormire perfino a Formia o Gaeta, dove le stazioni non sono sorvegliate», ci spiegano i volontari. Barboni pendolari. Ma qualche sbandato alla stazione c’è pure questa sera. «Benvenuti a casa! » dice uno di loro, rivolgendosi ai ragazzi. Sul marciapiede lungo i binari c’è un ragazzo nordafricano con una giacchetta poco adatta al freddo di questa sera. I volontari si avvicinano, chiedono se ha bisogno di qualcosa. Con l’aria smarrita fa capire di avere fame. Subito arriva un panino e poi l’invito a raggiungere la mensa. Il ragazzo sorride e si allontana. Proseguiamo il giro nella zona dove solitamente le persone cercano un riparo. Sono alcuni capannoni abbandonati. Si vedono ancora materassi, coperte, teli che provano a creare un po’ di privacy. Ma anche qui stasera non c’è nessuno. Solo grossi topi. Eppure ci dormivano anche venti persone. Tra rifiuti, freddo e pioggia, proprio come questa sera. «Se non vengono loro andiamo noi a cercarli», raccontano i volontari. «Sono storie di delusioni di vita, di depressione, di alcool». «Nei loro occhi c’è tanta malinconia, ma dispensano anche sorrisi». Storie drammatiche ma anche di dignità. Come F. 'il maestro', ex musicista. E ancora adesso quando i volontari cantano, lui improvvisa una seconda voce. «È sempre distinto, viene a prendersi il cappotto e indossa sempre un vestito completo con la cravatta. E anche in piena estate porta l’ombrello». Ci sono poi D. e E. «Lei non voleva essere aiutata, viveva per strada e si vendeva per un bicchiere di vino. Lui era innamorato, reagiva, voleva salvarla. Ma anche lui beveva». Alla fine li hanno convinti assicurando che se avessero smesso avrebbero potuto vivere assieme.

Ora sono nella casa di accoglienza, si stanno disintossicando. E hanno ottenuto fiducia. «Stanno nella guardiola a controllare l’ingresso. Lui cura il giardino e va a comprare fiori per la statua della Madonna e per la sua amata». Una storia a lieto fine. Non quella di un’intera famiglia con due bambini di 4 e 6 anni. Vivevano alla stazione, per un po’ hanno accettato di essere accolti, ma poi sono nuovamente spariti. Inghiottiti dalla strada. A. invece si è convinta a metà. «Sono stato fino alle 3 di notte per convincerla a venire da noi – racconta don Carmine Schiavone, direttore della Caritas –. Non voleva abbandonare il suo cane. Le abbiano assicurato che lo avremmo fatto accudire, e si è convinta. Ma continua a entrare e uscire». Come C. che è stata due volte aggredita nella stazione. «Ma ci ritorna perché dice 'è casa mia'», raccontano ancora i giovani volontari. In fondo, aggiungono, «lei cerca affetto, ci abbraccia». Vite a metà, in questa notte di dicembre. Ma comunque vite. Tra timori e solidarietà.

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