mercoledì 4 aprile 2018
Cresce il pressing grillino per sfoltire gli assegni percepiti da 2.600 ex parlamentari, per 206 milioni di euro. Di Maio cerca una sponda dalla Lega
La «guerra dei vitalizi»: chi li incassa e perché M5s li vuole smantellare
COMMENTA E CONDIVIDI

Potrebbe essere questione di giorni. L’ultimo paletto procedurale è legato al completamento dell’ufficio di Presidenza della Camera, da dove M5s intende far partire l’offensiva. Dopodiché, il Movimento potrà andare all’assalto per provare a smantellare il fortino dei vitalizi percepiti dagli ex parlamentari.

La carica l’ha suonata ieri direttamente il capo politico Luigi Di Maio: «L’eliminazione dei vitalizi è una questione che porremo subito negli uffici di Presidenza delle Camere. E spero che ci sia unanimità nell’abolizione di questi assurdi privilegi». La Terza Repubblica, è il suo auspicio, «sarà la Repubblica dei cittadini e l’eliminazione di questi sprechi è il primo, necessario atto concreto che dobbiamo realizzare».

Nella battaglia il M5s potrebbe trovare il sostegno di altre forze politiche, a iniziare dalla Lega di Matteo Salvini, che a metà marzo – dopo una telefonata con Di Maio – aveva incluso la questione fra le «priorità», parlando di tagli anche «retroattivi».

Una partita da 206 milioni

Secondo le stime rese note dal presidente dell’Inps Tito Boeri, il fascicolo vitalizi riguarda circa 2.600 ex parlamentari tra Camera e Senato per una cifra che nel 2016 è stata di 193 milioni di euro, l’anno scorso ha raggiunto i 206,28 milioni e in questo 2018 dovrebbe toccare quota 206,94. Un picco dopo il quale, sempre secondo l’Inps, l’esborso scenderà: sotto i 100 milioni nel 2027; fino a 50 dopo il 2040. Sul tavolo del presidente della Camera Roberto Fico e del questore 'anziano' Riccardo Fraccaro, il dossier è al primo posto. Una delle ipotesi al vaglio (in linea con la riforma del 2012) è quella di non procedere a una cancellazione, ma di trasformare i vitalizi in pensioni, ricalcolando con metodo contributivo gli assegni degli ex parlamentari e la quota maturata fino al 2012 da chi è attualmente in carica.

Consulta e diritti acquisiti

In ogni caso, la sforbiciata dovrà essere ben congegnata, per limitare il rischio di ricorsi per via giudiziaria. Nel- la scorsa legislatura – durante l’esame del disegno di legge presentato da Matteo Richetti (Pd), passato alla Camera ma non al Senato – ci fu chi ricordò i paletti posti da alcune sentenze della Consulta, che ha considerato intangibili i diritti acquisiti. E l’associazione di ex parlamentari (circa 1.500, guidati da Antonello Falomi, già dirigente del Pci, tre legislature in Senato col Pds e una alla Camera con Rifondazione comunista) assicura che non resterà con le mani in mano sul piano legale, anche per scongiurare il «pericolo di introdurre un precedente nel sistema per il ricalcolo delle pensioni degli italiani». Gli ex, insomma, si dicono «pronti a contribuire ai risparmi» chiesti dalle istituzioni, ma attraverso l’unico modo «che rispetti le sentenze della Consulta», ossia «un contributo di solidarietà». Ci sono situazioni, fa presente Falomi, come quelle delle «vedove di ex parlamentari che hanno in quell’assegno l’unico mezzo di sostentamento».

Montecitorio apripista

Sulla carta, essendo stati introdotti più di trent’anni fa da una delibera degli uffici di presidenza di Camera e Senato, i vitalizi potrebbero essere modificati da un atto di analogo valore, senza necessità di far approvare una legge. A fare da apripista sarà l’ufficio di presidenza di Montecitorio, dove M5s conta su almeno 6 voti (il presidente Fico non vota, ma ci sono la vicepresidente Maria Edera Spadoni, il questore Riccardo Fraccaro e 4 segretari) e potrebbe incassare la convergenza del Carroccio e di Leu. In settimana potrebbe tenersi la prossima riunione dell’Ufficio, per decidere sulla deroga chiesta da Leu per costituire un gruppo autonomo (ha solo 14 deputati sui 20 richiesti). Se verrà concessa, occorrerà l’elezione di un altro segretario di presidenza: a quel punto, l’organismo sarà a regime e potrà essere riconvocato per mettere la questione all’ordine del giorno. Meno semplice la situazione a Palazzo Madama, ma Paola Taverna assicura: «Non torniamo indietro. E io come vicepresidente del Senato sarò in prima linea, con tutti i miei colleghi».

Quando nasce il vitalizio: prima «a vita», dal 2012 pensione

Introdotto negli anni Ottanta, consisteva in un assegno, vita natural durante, incassato dal parlamentare in proporzione agli anni di legislatura effettuati. Dal 2012, la riforma lo ha trasformato in una pensione, percepibile da 65 anni in poi, che oscilla fra 1.000 e 1.500 euro ed è calcolata con metodo

Chi lo incassa. Da Fini a D’Alema, 2.600 gli «ex»

Gli attuali beneficiari del vitalizio sono circa 2.600 fra ex e parlamentari ancora in carica, per un esborso sui 200 milioni di euro l’anno. Fra loro, gli ex presidenti del Senato Nicola Mancino e Franco Marini (6.939 euro il primo, dopo 8 legislature; 6.457 il secondo, 6), l’ex premier Massimo D’Alema (circa 5mila, come Walter Veltroni), gli ex presidenti della Camera Gianfranco Fini (quasi 6mila euro) e Fausto Bertinotti (per lui 4.800 euro), ma anche le ex deputate radicali Emma Bonino (6.715, dopo 7 legislature) e Ilona Staller (2.231, una legislatura). Fra gli emolumenti più elevati, quello di Publio Fiori, ex parlamentare Dc e poi An, intorno ai 10mila euro: «La mia rendita è così elevata per l’invalidità derivante da un attentato delle Br», ha detto in un’intervista. Infine, in base alla norma della reversibilità, fra i beneficiari dell’assegno si contano anche parenti di ex parlamentari.

Il taglio delle Camere. Non serve legge, basta delibera

Nell’ultima legislatura, non è stata approvata dal Senato una proposta di legge (passata alla Camera) per sfoltire gli assegni, presentata dal parlamentare Matteo Richetti (Pd). Tuttavia, essendo stati introdotti da una delibera degli uffici di presidenza di Camera e Senato, i vitalizi si possono modificare con un atto analogo, senza bisogno di una legge.



© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI