venerdì 5 maggio 2017
Marilena, 67 anni, amputata 50 anni fa: «Sembriamo eroi dei fumetti». Carlo, 43, il primo in Italia: «Ma l’Asl ai pazienti dà protesi vetuste». Ariagno (Officina Ortopedica): ora guardiamo ai neonati
Il brindisi di Marilena e Carlo con le due mani bioniche

Il brindisi di Marilena e Carlo con le due mani bioniche

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Le due mani, una lucida e nera, l’altra rosa, si uniscono in una stretta che ha qualcosa di epocale: «Piacere Carlo», «Piacere Marilena ». Si vedono per la prima volta ma c’è complicità, uniti da quelle mani che li rendono rarissimi, quasi unici. «Al lavoro mi chiamano Robocop e Braccio di Ferro, sanno che sono prezioso ma la prendono goliardicamente», ride Carlo Maschio, 43 anni, da ottobre il primo italiano ad avere una mano bionica in titanio di ultima generazione, che si comporta come un vero arto e ha cinque dita multiarticolate, motorizzate indipendentemente, capaci di realizzare 36 diversi tipi di presa sugli oggetti, senza pericolo di stritolare una lattina o lasciar cadere un bicchiere.

«Gli adulti si imbarazzano ma i bambini sono affascinati dal congegno – conferma Marilena Bardessono, 67 anni, ad oggi la persona più anziana con una mano di questo tipo –, mi vedono come un super eroe dei fumetti. Pensavo fosse un azzardo alla mia età imparare ad usarla, invece ce l’ho da una settimana e so già fare tanti movimenti, sono emozionata e felice... Posso come tutti aprire un ombrello e portare la busta della spesa: una delle posizioni è proprio quella che permette di tenere una bor- sa». Se lui è stato il primo 'Robocop' d’Italia, lei vanta un record ancora più importante: «Sono la prima persona cui l’Inail ha riconosciuto la mano bionica e ha pagato interamente i 35mila euro necessari. Non avrei mai potuto sostenere una spesa simile.

Tornare a reggere un bicchiere, scrivere al computer, tenere una penna o raccogliere un foglio, azioni scontate per chi le può fare, è stato il ritorno alla vita». Se una settimana fa con la sua nuova mano era a Lourdes, insomma, non era per chiedere qualcosa ma per ringraziare del 'miracolo' sia tecnologico che burocratico, a quasi 50 anni dall’incidente che l’aveva mutilata. Era il 1969 e lei, minorenne, lavorava in una conceria, quando una pressa le risucchiò la mano destra, sbriciolando le nocche e bruciando il midollo. Uno choc che le cambiò la vita, perché Marilena non riusciva più a guardarsi allo specchio e nonostante i tanti interventi la cancrena avanzava. «Lasciarono a me la decisione se amputare o insaccarmi la mano nella pancia per provare a curarla, senza alcuna garanzia. Passai la notte a pregare e la mattina decisi: amputate». La prima protesi che le misero era una tortura, «muovendo le spalle azionavo una serie di trazioni elastiche, che aprivano solo tre dita a pinza, ma in compenso mi ferivano sotto le ascelle.

Poi nel 1970 mi arrivò la prima mano mioelettrica, più evoluta ma sempre una semplice pinza tra pollice da una parte e indice- medio dall’altra...». Giorni fa la svolta grazie alla Touch Bionics, azienda scozzese che ha sviluppato la tecnica per i soldati reduci dall’Afghanistan, e soprattutto all’Officina Ortopedica Maria Adelaide di Torino, la prima (e unica nel Nord) azienda accreditata, che insieme a lei ha affrontato la battaglia burocratica: «È un precedente importantissimo», spiega il titolare Roberto Ariagno, «i medici dell’Inail hanno riconosciuto il reale bisogno della mano bionica per una dignitosa vita quotidiana. Invece i Lea (i Livelli essenziali di assistenza del ministero della Salute) non la prevedono, così l’Asl rimborsa solo la mano mioelettrica di base», la stessa che Marilena ebbe nel lontano 1970. «Assurdo», sbotta Carlo Maschio, «nel 2015, quando fui amputato a causa di un aggressivo sarcoma maligno, ricevetti quella specie di pinza 45 anni dopo la signora. Sono sconvolto: i funzionari Asl conoscono bene le tecnologie attuali ma ai pazienti non ne parlano. Il loro mestiere è informare, non far di conto. Per caso ho visto in tivù la modella americana Rebecca Marine sfilare con la mano della Touch Bionics, ho subito scritto in Scozia e lì mi hanno rimandato all’Officina Ortopedica Maria Adelaide di Torino. Dovevo solo trovare i soldi per pagarmela».

La ditta per cui lavora gli ha anticipato la liquidazione e concesso un premio in busta paga «e ora che soddisfazione allacciarmi le scarpe! Amo profondamente la mia mano, fa parte di me e per questo ho scelto il modello nero, perché si veda eccome! La mia bambina, 4 anni, ci gioca e la chiama 'la vera mano di papà'». La nuova frontiera – e sarebbe la terza primizia – è un bimbo di 18 mesi nato senza manina: «Stiamo solo aspettando il parere dell’Asl», spiega Ariagno, «se dà l’ok gli costruiamo una protesina su misura da 14mila euro: imparare da piccoli è tutta un’altra cosa».

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