sabato 12 dicembre 2020
La Società italiana di virologia a congresso, tra analisi sulle ricerche effettuate ed errori da non commettere più. Ippolito: anche a noi serve un cambiamento di mentalità
Covid, la carica virale è decisiva

Ansa

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Fa una certa impressione sentire Giuseppe Ippolito dire che «non abbiamo strategie, non abbiamo finanziamenti, abbiamo usato strumenti vecchi...» Certo, Ippolito sta parlando extra omnes, al quarto congresso della Società italiana di Virologia (Siv). Solo colleghi e addetti ai lavori, non siamo a Porta a Porta. Ci si sfoga, al termine di un anno vissuto pericolosamente. Ma quell’invocare «un cambiamento di mentalità e un sistema di comunicazione che non siano le slide delle presentazioni dei politici», con cui Ippolito ieri ha salutato il congresso, la dice lunga sulla tensione che permea la ricerca sul Covid 19. Perché Ippolito non è solo uno scienziato, e di vaglia. È il direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani, crocevia di ricerche e finanziamenti. Della scienza e della politica.

Al webinar di ieri promosso dalla Siv, c’era la prima linea della ricerca e gli interventi hanno dato un saggio dell’impegno corale con cui si cerca di capire come il Sars-Cov2 si trasmette, si replica e uccide. Su quest’ultimo punto, Massimo Clementi (San Raffaele) sembra aver le idee chiare. Sul focus patogenico, innanzitutto. «Questa malattia è un missile a due stadi, l’aggressione virale e la risposta citochimica che innesca la malattia infiammatoria. Non è ancora chiaro come si arriva al secondo stadio, anche se è probabile che ci sia una difficoltà a montare una risposta immune efficace nella prima parte».

Francesca Caccuri (Università di Brescia) ha precisato che «l’infezione è sicuramente polmonare ed enterica ed è probabilmente portata in altri distretti da monociti-macrofagi infetti. Abbiamo valutato anche la capacità delle cellule cardiache di infettarsi ma, come quelle polmonari, non supportano una replicazione attiva del virus». Scagionato il sistema cardiovascolare, dopo alcuni mesi in cui si pensava il contrario, si riparte praticamente da zero, nel cercare il target esatto del virus e, potenzialmente, dell’antivirale specifico che ancora non esiste, mentre intorno al vaccino si respira un’atmosfera di maggior ottimismo, non fosse altro perché, come ha spiegato Massimo Clementi, «sappiamo, almeno dal 2018, che i vaccini a Rna sono efficienti, facili da modulare e plastici, facili da produrre». Del perfezionamento dei vaccini a Rna ha parlato Guido Silvestri (Università di Atlanta) sottolineando la capacità di stimolare l’immunità innata («modifiche che diventeranno materiale da premio Nobel» e che «con tutta probabilità risolveranno il problema di Covid») e sulla possibilità di riprogrammare l’immunità innata delle cellule ha ragionato Roberta Rizzo (Università di Ferrara). Riferendosi ai recettori Toll-simili, che sono le proteine che intervengono nell’immunità innata, la ricercatrice emiliana ha spiegato infatti che, secondo gli studi che sta seguendo, «la presenza di un TLR7 funzionante influenza la tempesta citochimica» da cui dipende l’infiammazione, spesso letale, che accompagna il decorso del Covid-19.

Questi segnali di ottimismo non devono indurre, tuttavia, ad una sottovalutazione del rischio: al congresso, è stato ricordato che in questo momento ci sono molti virus che stanno effettuando il salto di specie dall’animale all’uomo. Si è parlato di Nipah e di altri coronavirus, già presenti in specie addomesticate, come il suino. Ma soprattutto si è parlato, con Davide Zella (Università del Maryland) delle mutazioni, che avvengono ma non si riesce a capire se e come ricadano nello sviluppo della malattia («il virus muta ma è cambiato poco da Wuhan a oggi» ha ripetuto il presidente dell’Aifa, Giorgio Palù), mentre si è già individuato il link con la contagiosità.

Una nebbia in cui alcune sperimentazioni, anche in Italia, cercano di aprire un varco. Al San Raffaele di Milano, ha spiegato ad esempio Clementi, si stanno approfondendo le intuizioni sudcoreane in base alle quali la morbilità e la letalità di questo coronavirus sono correlate alla carica virale del contagio. Un tema che intercetta l’efficacia delle misure di distanziamento. «A dose diversa di infezione si accompagna il tipo di malattia» ha detto Clementi illustrando uno studio su 3.500 pazienti secondo cui chi entra in ospedale con una carica virale più alta – considerando anche l’età e le comorbilità – ha più probabilità di morire di Covid 19. Dopo tante polemiche, ciò rappresenterebbe l’evidenza scientifica dell’efficacia epidemiologica della mascherina. Finalmente un dato, verrebbe da dire, ascoltando Palù, il quale in serata recriminava come si fosse arrivati «alla terza fase senza passar per la seconda, si parla senza avere dati e la trasparenza dei dati... Colleghi virologi, facciamo grande attenzione alle persone che parlano di virus e non hanno pubblicazioni scientifiche al loro attivo». Forse, come dice Palù, «il virus non sparirà come la Sars», ma sicuramente la polemica sui virologi star non si è mai chiusa.

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