sabato 29 agosto 2015
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Ammontano a 95.000 i migranti, per l’85% adulti, accolti in questo momento in strutture e centri del nostro Paese. Invece, quelli complessivamente soccorsi in mare dall’inizio dell’anno hanno raggiunto quota 115mila, compresi gli ultimi arrivi. Dati che gli analisti del ministero dell’Interno aggiornano ora dopo ora e che vengono confermati ad Avvenire in serata, a riprova della meticolosa attenzione con cui il Viminale segue l’evolversi della situazione dei flussi migratori per mare e per terra. L’apparato del ministero guidato da Angelino Alfano, insieme alle articolazioni territoriali e in accordo con gli enti locali, prosegue nell’opera di accoglienza: «Le critiche che arrivano da altre nazioni circa una presunta insufficiente opera d’identificazione dei migranti in Italia sono infondate – osserva una fonte di Pubblica sicurezza–, perché le forze di polizia stanno eseguendo le procedure con scrupolo nei diversi punti di sbarco». Nel frattempo, la macchina organizzativa, attraverso un dialogo fra la rete dei prefetti e dei questori e gli enti locali, è in continua ricerca di edifici in disarmo da riconvertire in strutture per l’accoglienza. La questione delle procedure d’identificazione è legata a un’altra partita, quella sull’apertura dei cosiddetti hot spots, ossia i centri dove le forze di polizia locali, assistite da rappresentanti di Frontex, Europol ed Easo (l’Ufficio europeo per l’asilo) potranno effettuare il primo screening dei candidati al ricollocamento, con fotosegnalamento ed impronte digitali. Nelle ultime 48 ore, complice probabilmente anche la tensione per l’intensificarsi del flusso via terra dai Balcani, il pressing di alcuni Stati Ue per l’apertura dei centri in Italia e Grecia è cresciuto. Ancora ieri, in un’intervista a Le Figaro, il direttore dell’agenzia Frontex, Fabrice Leggeri, l’ha ribadito: «La priorità deve andare all’installazione effettiva di centri di registrazione, come a Catania e fra poco al Pireo, in Grecia» per «l’esame, la raccolta delle impronte digitali, l’identificazione dei nuovi arrivati, e anche per il contrasto alla criminalità organizzata e alle reti di trafficanti». Un’operazione di «scrematura», l’ha chiamata Leggeri, per «separare i richiedenti asilo dai semplici immigrati irregolari, che dovranno essere allontanati, vale a dire rispediti nel loro Paese». Al Viminale, negli uffici del Dipartimento per l’Immigrazione guidato dal prefetto Mario Morcone, ribadiscono come l’Italia sia pronta: 3 centri (Lampedusa, con 5-600 posti, Pozzallo e Trapani, con altri 400 ciascuno) sono già in condizione di entrare in funzione, mentre altri 2 (Taranto e Augusta, circa 500 posti ognuno) potrebbero essere pronti in autunno, per via del completamento delle relative gare d’appalto (dopo le vicende legate al Cara di Mineo, si è scelto di ricorrere a procedure ordinarie, per favorire trasparenza e controlli). Resta però il fatto che la partita, più che burocratico-organizzativa, sia prettamente politica e da giocare sul tavolo europeo, perché legata a doppio filo all’applicazione del resto del pacchetto di interventi disegnato dalla Commissione guidata da Jean -Claude Juncker, a iniziare dalla relocation, cioè la redistribuzione di 40mila richiedenti asilo, per quote, nei 28 Stati Ue. È la linea gotica della coerenza adottata dall’esecutivo italiano e ribadita, formalmente e informalmente, a livello diplomatico e politico. Una posizione compresa dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, che proprio l’altro ieri a Vienna ha confermato l’esistenza di un «accordo» con Italia e Grecia sull’apertura degli hot spots «entro la fine dell’anno», dicendosi tuttavia ben consapevole che «Italia e Grecia potranno accettare centri del genere, soltanto se altri Paesi sono pronti ad accogliere la loro quota di asilanti».
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