lunedì 16 marzo 2020
Mauro Davoli, fotografo di fama, racconta la paura e l'isolamento in una cittadina in provincia di Parma: “Non facciamo che le nostre lacrime di dolore si trasformino in lacrime di rabbia”
La stazione di Fornovo

La stazione di Fornovo - Carrarino, Wikicommons

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“Mi si stringe il cuore a sentire il suono delle sirene e a veder correre le ambulanze con cui gli angeli soccorritori accompagnano i nostri amici e i genitori, i figli, i nostri nonni a ospedali che sembrano ormai lazzaretti nonostante la straordinaria professionalità, il coraggio e la dedizione di medici e infermieri”.

Mauro Davoli conosce la poesia delle cose, piccole o grandi che siano, e da grande fotografo qual è sa cogliere nell’immagine il taglio giusto di luce che rivela mondi inaspettati e commuove. Ma ora, quale vice-sindaco di Fornovo di Taro, cittadina di circa 6 mila abitanti in provincia di Parma, ha lasciato la macchina fotografica a casa: non può a fare della sofferenza uno spettacolo ed è impegnato a cercare di alleviare le sofferenze dai concittadini.

La sindaca è a casa in quarantena e come lei tanti altri dell’amministrazione comunale, e Davoli è per ora tra i pochi fortunati che possono continuare a lavorare. “Sono 18 le persone di cui si sa con certezza che sono state colpite dal virus, ma altissimo è il numero di coloro che devono restare chiusi a casa perché manifestano sintomi. Non abbiamo un ospedale, c’è solo un presidio sanitario e anche alcuni dei medici sono in quarantena. Le persone che si ammalano vengono portate negli ospedali di una delle città vicine, Parma, Borgo Taro o Fidenza. Ed è un continuo via vai di ambulanze con i volontari. Poche ora fa un’impiegata del Comune ha accusato disturbi respiratori ed è stata portata via d’urgenza".

Si respira un clima surreale e pesante nell’emergenza è la sensazione di impotenza, esacerbata dalla mancanza dei sussidi più elementari, come le mascherine “Ne abbiamo solo del modello più semplice che evita ai contagiati di diffondere il virus, ma sono necessarie quelle che permettono di impedire di essere contagiati, modelli come il PFP2, e non ce ne sono. Io, come tanti altri, devo lavare ogni giorno la mia mascherina di cotone per paura di non trovarne un’altra o di sottrarla ai medici che in Pronto soccorso rischiano la vita per salvarla ad altri.

”Solo questo possono evitare a medici, volontari, personale della Protezione civile, di non contagiarsi. “Bisogna fare cose semplici ma essenziali. Perché non basta scrivere ‘Andrà tutto bene’. Dobbiamo creare le condizioni perché questo avvenga veramente. E quando un numero crescente di persone dev’essere accompagnato in ospedale, o quando è necessario consegnare in a casa di chi è malato o in quarantena il cibo o le medicine bisognerebbe permettere a chi svolge queste mansioni di non contagiarsi. Una mascherina può salvare vite. Ma non ne abbiamo”.

Sui giornali locali aumenta il numero di necrologi, ieri sulla Gazzetta di Parma ce n’erano cinque pagine piene. Eppure c’è ancora qualcuno che non riesce a modificare le proprie abitudini. “Per quanto la Polizia municipale giri con l’altoparlante avvisando di stare in casa ed evitare contatti, si vedono ancora capannelli di giovani che scherzano per strada”.

Ma l’urgenza porta anche a maggiore solidarietà e comprensione: “Non riceviamo più tante proteste, e sono tanti a collaborare. C’è solidarietà, come non s’era mai vista”. Se arrivassero anche le mascherine, pur nell’emergenza, tutto sarebbe più semplice: “Non facciamo che le nostre lacrime di dolore si trasformino in lacrime di rabbia” è il drammatico appello di Davoli, che senz’altro condividono decine, migliaia di altri responsabili delle amministrazioni locali in tutta Italia.

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