giovedì 12 novembre 2020
Nel policlinico dove medici e infermieri sono tornati in prima linea. Rispetto a marzo si sanno più cose su come curare i malati e siamo sicuri che la mascherina serve
Al lavoro nei reparti della terapia subintensiva al Policlinico Sant'Orsola di Bologna

Al lavoro nei reparti della terapia subintensiva al Policlinico Sant'Orsola di Bologna - Viana

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Bologna la rossa. Questa volta la politica non c’entra: «Tutto esaurito anche da me» ammette Stefano Nava, all’indomani dell’allarme lanciato dall’Istituto superiore di sanità, secondo cui anche l’Emilia Romagna va verso il "rischio alto". Nelle sale del Sant’Orsola si avverte un’atmosfera fatale. La Dotta scivola nel rosso Covid e anche il primario della pneumologia e della terapia intensiva respiratoria, un lombardo che ha auscultato i polmoni di mezzo mondo, non si fa illusioni. Medico e ricercatore in Canada, in Belgio, negli Usa, Stefano Nava cerca di sdrammatizzare. «Passi tutta la vita a curare la tosse e poi...».

Ma lui c’era, a marzo, in questa città nella città, dove ci si cura e spesso si muore, così lontana, coi suoi numeri freddi freddi, dalla grassa bonomia dei bolognesi. Quest’estate, invece, erano ricoverati con il Sars-Cov2 in 20, tre dei quali in terapia intensiva. Oggi al policlinico bolognese ci sono 192 posti letto, di cui 50 in terapia intensiva e subintensiva. «Tutto esaurito» commenta il medico. Ed infatti i posti attivati per curare il nuovo morbo in provincia sono già 740, con 9 ospedali mobilitati e 150 posti letto nel privato accreditato.

«Stiamo tornando al mese di marzo» conferma lo specialista, «anche se abbiamo imparato molto da allora, perché sappiamo quando e come trattare il malato con i pochi farmaci realmente utili». A partire dal cortisone, che funziona – e bene – solo se viene somministrato dopo qualche giorno dall’inizio della febbre, cioè quando la replicazione del virus inizia a rallentare.

Insomma, questi mesi non sono passati invano. Lo prova anche uno studio pubblicato su Lancet, che traccia il follow up degli ospedalizzati bolognesi di questa primavera e chiarisce ulteriormente come si sviluppa la malattia, suddividendo i casi in cui colpisce solo l’alveolo polmonare, da quelli in cui colpisce solo i vasi a quelli, infine, in cui colpisce sia l’apparato vascolare che quello respiratorio. La differenza è sostanziale, perchè si realizza un’alternanza di alterazioni dei meccanismi di ventilazione (respiro) e perfusione (scambio di ossigeno tra aria e sangue) che vanno affrontate diversamente.

L’inesperienza di questi aspetti, con la quale tutto il mondo ha affrontato la prima emergenza e che ha portato a intubare sbrigativamente la maggior parte dei malati gravi, come se il problema fosse solo di ventilazione, ha aggravato, incolpevolmente, il bilancio di morte.

Un ulteriore studio pubblicato su European Respiratory Journal da Nava e da altri ricercatori illustra i rilevanti vantaggi delle terapie non invasive. Ma il medico mette le mani avanti. «Sappiamo ancora troppo poco su questo coronavirus».

In prima linea contro il Covid-19 al Sant'Orsola di Bologna

In prima linea contro il Covid-19 al Sant'Orsola di Bologna - Viana

La terapia subintensiva è la seconda linea di questa nuova battaglia e in questi giorni è più nervosa della prima, dove invece si intuba chi non ce la fa più. Questo è il reparto della Cpap, i caschi divenuti famosi proprio con il coronavirus; è il reparto della ventilazione non invasiva; è il reparto degli alti flussi umidificati. Sono tutti sistemi di pompe e cannule che aiutano il paziente ormai incapace di respirare autonomamente, in quanto ostaggio della polmonite, scatenata a sua volta dalla tempesta citochimica, cioè dalla reazione – ormai fuori controllo – del sistema immunitario.

Il ruolo di questa seconda linea diviene centrale quando si deve fermare lo tsunami con le mani. Dice lui: «Agiamo in termini di step up e di step down». Traduzione: chi può essere ventilato senza l’intubazione viene trattato qui prima di accedere, eventualmente, alla terapia intensiva e chi esce da quella prosegue in queste stanze la sua terapia.

Siamo nella terra di mezzo tra la vita e la morte di Covid. In primavera, la maggioranza dei malati e soprattutto dei decessi del Sant’Orsola si concentrava nella categoria dei 70-80 anni, mentre adesso, anche nell’Emilia arancione, l’età media dei pazienti è scesa verso i cinquant’anni. Le cartelle cliniche della subintensiva fotografano questo arretramento che smonta molti dei luoghi comuni che abbiamo ripetuto da febbraio a maggio.

È stato smontato, purtroppo, anche quello che non era affatto un luogo comune. «Medici e infermieri sono stati acclamati come eroi e troppo presto dimenticati» commenta Nava, che ha pubblicato uno studio anche sul «sacrificio italiano». Quello dei suoi colleghi. Il report osserva come dei 186 professionisti uccisi dalla malattia quasi tutti erano medici di medicina generale e dentisti, cioè i meno protetti. «Molti di loro erano pensionati che avevano scelto di servire il Paese, mettendosi a disposizione: sono morti per venti euro all’ora. Lordi».

Cosa ci dice quel sacrificio? «Che mascherine e tute servono eccome – sibila Nava – e non è un caso che nelle categorie mediche più abituate a trattare le influenze, come infettivologi pneumologi si riscontrino i tassi di contagio e di morte più bassi».

Stefano Nava, primario al Sant'Orsola di Bologna

Stefano Nava, primario al Sant'Orsola di Bologna - Viana

Nel padiglione numero 16 si lavora come se fosse un giorno come gli altri, ma non lo è. I medici che collaborano con Nava confermano che, ora dopo ora, i sintomi del virus si fanno più aggressivi, anche se è complicato confrontare la situazione di oggi a quella di nove mesi fa.

Così come è difficile, sottolinea lo specialista, fare previsioni sul futuro. Neanche su quello di chi supera la crisi. Uno studio di Luca Fasano e Martina Ferioli, due medici della Pneumologia, attesta che il 25-30% dei malati gravi di questa primavera ha riportato cicatrici polmonari e sequele rilevanti nella funzione respiratoria. E anche su questo punto, alla bonomia emiliana si sostituisce la concretezza lombarda del Nava: «Non ci chiedete cosa succederà loro tra qualche anno: non lo sappiamo».

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