giovedì 2 marzo 2017
Condanne anche per il deputato Massimo Parisi e gli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei
Il senatore Denis Verdini. Condannato a 9 anni in primo grado (Ansa)

Il senatore Denis Verdini. Condannato a 9 anni in primo grado (Ansa)

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Il senatore Denis Verdini è stato condannato in primo grado a 9 anni di reclusione (7 per il crac del Ccf e 2 per truffa ai danni dello Stato per i fondi dell'editoria). dal Tribunale di Firenze al termine del processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino (Ccf), la banca di cui è stato presidente dal 1990 al 2010. Verdini, senatore e leader di Ala, non era in aula alla lettura della sentenza. Per lui anche l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Il deputato Massimo Parisi, di Ala, lo stesso partito di Verdini. è stato invece condannato a 2 anni e 6 mesi. Gli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei, sono stati invece condannati entrambi a cinque anni e sei mesi per concorso in bancarotta.

Quasi una settimana di camera di Consiglio. Sei giorni in cui i giudici del collegio del Tribunale di Firenze hanno passato al setaccio le posizioni dei 45 imputati, di cui 43 persone e 2 società, protagonisti di 70 udienze e di oltre 3.600 pagine processuali. Sono alcuni dei numeri del processo per il crac dell'ex Credito cooperativo fiorentino (Ccf), la banca che Denis Verdini ha guidato dal 1990 al 2010, fallita nel 2012.


Il senatore di Ala, come quasi tutti gli altri accusati, dovevano rispondere, a vario titolo, di associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita, truffa e irregolarità rispetto alle normative bancarie. Tra gli imputati anche il collega di partito Massimo Parisi e i costruttori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei verso le cui società la banca si era, secondo l'accusa, eccessivamente esposta. Imputati anche membri dei cda della banca e sindaci revisori.

IL PROCESSO
Udienza dopo udienza la pm Giuseppina Mione, che ha coordinato l'inchiesta dei Carabinieri del Ros con il procuratore aggiunto Luca Turco, ha disegnato la rete di rapporti esistente tra il Credito cooperativo fiorentino e i due imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei, soci della holding Hbf che controllava decine di società, fra cui l'impresa di costruzioni Btp, la catena di alberghi Una, la Immobiliare Ferrucci, scrigno del comparto immobiliare del gruppo.Secondo l'accusa, la banca aveva erogato decine di finanziamenti a società riconducibili a interessi di Riccardo Fusi (già condannato per l'inchiesta sulla "cricca" degli appalti, capitolo Scuola Marescialli di Firenze), Roberto Bartolomei e altri imputati su contratti preliminari basati su operazioni fittizie o comunque viziati da irregolarità di vario tipo.

Un sistema che nel tempo avrebbe favorito una galassia di società - alcune fallite - contribuendo a svuotare il patrimonio del centenario istituto dicredito.

Nel processo i pm evidenziarono anche presunte carenze nei controlli della governance della banca, con mancate verifiche di operazioni quanto meno incaute o comunque estranee alla prassi del sistema creditizio. Al crac era stato collegato pure il complesso meccanismo ideato per accedere senza averne diritto - sulla base di una sorta di fatturazione circolare tra le varie società per prestazioni e servizi - ai contributi per l'editoria di alcune testate locali.In questo filone processuale entra infatti la vicenda della bancarotta della Ste (Società Toscana Edizioni), che editava 'Il Giornale della Toscana', pubblicato dal 1998 al 2014 in abbinamento con 'Il Giornale', della società Sette Mari e di altre società service collegate tra loro nella galassia editoriale e mediatica promossa a Firenze dallo stesso Verdini. Imputati, oltre a Denis Verdini, alcuni suoi fedelissimi tra cui il parlamentare e collega di partito, Massimo Parisi. Verdini secondo le accuse aveva percepito, tramite cooperative che la procura di Firenze ritenne fittizie, contributi del Fondo per l'Editoria, istituito presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, oltre venti milioni di euro.

LA STORIA
I guai dell'ex Credito cooperativo fiorentino iniziarono nel 2010, con una prima ispezione della Banca d'Italia. La situazione economica dell'istituto era traballante: dopo due anni di amministrazione straordinaria, nel 2012 il tribunale di Firenze ne sentenziò il fallimento. Ma mentre l'attività, a garanzia dei risparmiatori, venne rilevata da Chianti Banca, i pm Luca Turco e Giuseppina Mione aprirono un'inchiesta. Secondo le ipotesi dei pm, Verdini aveva usato la banca come un 'bancomat' personale.

Le indagini a questo punto si allargarono anche all'altra attività di Verdini: il quotidiano 'Il giornale della Toscana', dorso regionale de 'Il Giornalè, e i settimanali locali Metropoli. A editare questi giornali erano delle cooperative (la Società Toscana Edizioni srl e la Sette Mari scarl) che, sempre secondo le accuse, sarebbero servite a drenare i fondi pubblici. Più di 4 milioni all'anno di contributi vennero ad esse erogati dal Fondo per l'editoria, tra il 2005 e il 2009. Il 15 luglio del 2014, il gup Fabio Frangini dispose il rinvio a giudizio di tutti gli imputati.

LE RICHIESTE
I pubblici ministeri chiesero pene pesanti. Per Verdini, i pm Mione e Turco, chiedero undici anni di condanna. Nove anni richiesero per gli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei. Sei anni per l'ex direttore del Credito cooperativo fiorentino, Piero Italo Biagini. Sei anni anche per il parlamentare Massimo Parisi, imputato nelfilone che riguarda i finanziamenti ricevuti dai giornali di cui era l'amministratore. Cospicui, infine, anche i risarcimenti chiesti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Monte dei Paschi di Siena. Lo Stato "rivuole" circa 42 milioni per i contributi erogati, comprensivi di interessi. La Banca senese chiede 48 milioni agli imprenditori Fusi e Bartolomei che beneficiarono di prestiti da un pool di istituti per la ristrutturazione dei debiti delle loro aziende.

"Richieste di condanna smisurate". Le difese nel corso delle udienze hanno sempre rispedito al mittente le accuse della procura di Firenze. Anche con toni decisi: a cominciare dai legali del principale imputato, Denis Verdini. "È stato offeso dai pm, che gli hanno dato del truffatore", affermarono nella loro arringa gli avvocati Franco Coppi e Ester Molinaro, chiedendo l'assoluzione del senatore di Ala sia dalle accuse di bancarotta del Ccf, che per quanto riguarda il filone dei contributi ai giornali di cui Verdiniviene ritenuto il "dominus". Giornali che erano amministrati da un altro imputato "politico", il deputato di Ala Massimo Parisi, per il quale l'avvocato Francesco Sisto ha cercato di dimostrare l'estraneità alle contestazioni ma soprattutto che le cooperative "fittizie" che editavano i giornali erano invece "vere, davano occupazione e sfornavano un prodotto di qualità fatto con giornalisti regolarmente contrattualizzati". Interventi accorati anche quelli degli avvocati Sandro Traversi e Sara Gennai in difesa dell'ex imprenditore della Btp, Riccardo Fusi, e di Gianluca Gambogi e Alice Pucci per dimostrare l'innocenza dell'ex socio di Fusi, Roberto Bartolomei.

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