mercoledì 18 maggio 2016
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di gusto Sostenibilità. La parola è entrata nel gergo agroalimentare e rischia di voler dire tutto e niente. Però alcuni esempi meriterebbero d’essere raccontati. Un paio di mesi fa sono stato a Venezia, per incontrare Manuel Fiorotto, il più grande operatore europeo di pesce. Prima di incontrarlo e prendere appunti sulla nostra chiacchierata, i suoi ragazzi mi hanno fatto visitare la sua Fiorital a fine giornata, nei magazzini dove transita il pescato del giorno in quantità mai viste. E cosa mi ha colpito? Che a fine giornata gli avanzi erano di un paio di pesci, il resto era tutto in viaggio. Lì ho capito cos’era un pezzo di sostenibilità: la lotta allo spreco. Poi girando per i reparti c’erano appese alle pareti frasi etiche che riguardavano tutti i dipendenti, come a dire che nel particolare di un lavoro, nella coscienza della cosa più piccola che si fa, c’è il successo di un’azienda. Quando ci siamo trovati faccia a faccia ho manifestato il mio stupore per il gioco di squadra e per il risultato di giornata (i pochi pesci...) e Manuel Fiorotto mi ha spiazzato: «Basta leggere la Bibbia: è il più importante manuale di antropologia. Lì c’è scritto tutto». Da qui la continua innovazione, che in questo caso va dal tonno frozen alle vaschette di pesce in atmosfera modificata usando il polipropilene anziché il polistirolo, elaborato senza additivi e antiossidanti, perché, dice sempre Manuel, gli agenti chimici lasciano tracce nel corpo. Ancora una volta mi s’è chiarito cos’è la sostenibilità: un obiettivo di sicurezza attorno a cui ruota tutto. Lo spreco domestico di pesce per esempio è molto alto, ma se appena pescato questo viene ibernato con l’idea di mettere in letargo la freschezza del mare, si ottiene un risultato che può migliorare la vita della gente. Anche perché il consumo ittico è importante, caposaldo della dieta mediterranea, ma è troppo basso. Fiorotto ha creato a Padova un locale dove si può toccare con mano tutto questo: acquistare il pesce conservato con la tecnologia del freddo estremo (da -60° a -120°), in modo da variare i consumi a piacere. Ma si può anche provare il risultato nel piatto in un ristorante interno. Io l’ho fatto e la freschezza del pesce era decisamente salva. L’esempio è stato illuminante. In quell’azienda c’è un’idea che traccia un percorso, sintetizzato in un manuale di comportamento industriale che porta alla sostenibilità. In cima agli obiettivi leggi la parola consumatore, da coinvolgere in un progetto buono che migliori la sua vita. Che parola invece esiste in cima ad altre attività, alimentari e non alimentari, che hanno a che fare con la vita della gente? La domanda è di quelle che dovrebbero portare a cambiamenti. O ci basta dire che abbiamo i prodotti più buoni del mondo e tutto finisce lì? © RIPRODUZIONE RISERVATA
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