giovedì 25 febbraio 2016
​Il giurista: passaggio confuso, la Consulta indicava un'altra direzione.
Mirabelli: «Restano sovrapposizioni con il matrimonio»
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Perplesso. E anche un po’ deluso. Il professor Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta, scorre rapidamente il nuovo testo e scuote la testa. «Ricalca come il precedente tutti i punti del codice civile che riguardano il matrimonio. La sentenza della Corte costituzionale, numero 138 del 2010, aveva indicato un’altra direzione...». Ma quando si arriva al punto 20, il disappunto diventa palese. Quasi non riesce a convincersene: «Rileggiamo, rileggiamo insieme: 'Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi.. le parole ’coniuge’ e ’coniugi’ si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso...». Professore, nelle ultime righe si dice però con chiarezza che il parallelismo tra coniugi e unioni civili non si applica alla legge sulle adozioni. Non basta? È un articolo scritto in modo contraddittorio perché nega nella seconda parte ciò che ha affermato all’inizio. Dal punto di vista giurisprudenziale è tutto da approfondire. E da una prima, rapida lettura non vorrei ci fossero già gli estremi per una dichiarazione di illegittimità costituzionale. Ci aiuti a capire qual è l’incongruenza. Ma è evidente. Questo era il passaggio decisivo, eppure sono riusciti a renderlo confuso. All’inizio si coglie la volontà di equiparare in tutto e per tutto lo status dei coniugi che hanno contratto matrimonio a quello delle persone che hanno scelto le unioni civili. Poi, alla fine di questo passaggio, si dice esplicitamente che da questa equiparazione sono esclusi i riferimenti alla legge 184 del 1983, quella appunto sulle adozioni. Perché non va bene? Perché l’equiparazione matrimonio- unioni civili ribadita sia nella parte iniziale di questo comma, sia in tutti i punti precedenti, rischia di rendere debole l’esclusione della parte che riguarda le adozioni. Dobbiamo considerare infatti che c’è ormai tutta una giurisprudenza che va in quella direzione e alla quale ci si potrà appellare. Un tentativo di compromesso non perfettamente riuscito? È evidente che qui c’è dietro un negoziato politico complesso, nelle cui dinamiche però non voglio entrare. La nuova stesura della legge, almeno ad un primo esame, rivela questa fatica. Sembra un passo avanti, ma solo a metà. Anche il riferimento all’articolo 3 della Costituzione, che non figurava nella precedente stesura, può rappresentare un problema? Apparentemente no, ma è evidente che quando si ricorda che 'tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione...' si vuole rimarcare con forza il senso di uguaglianza tra le diverse condizioni... Che poi, con i numerosi richiami alla legge sul matrimonio, sia nel comma 5, sia nel comma 13, per quanto riguarda il regime patrimoniale, sia in altri punti, si traduce in una esplicita volontà di equiparazione... Evidentemente, la volontà politica era quella. E questa nuova stesura non la smentisce. La seconda parte della legge, quella sulle unioni di fatto tra persone eterosessuali, non sembra invece aver subito grandi modifiche. Probabilmente sarebbe stato opportuno convogliare entrambe le situazioni in un impianto legislativo simile a quello tratteggiato nella seconda parte. Invece...
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