Arrivano ulteriori conferme sullo stato assolutamente non drammatico delle finanze vaticane. Alla netta smentita del presidente dell’Apsa ed ex segretario generale della Cei, il vescovo Nunzio Galantino, che ieri in una intervista ad Avvenire ha detto: «Qui non c’è alcun crac o default», si aggiunge infatti quanto filtra da fonti vaticane che quantificano in poche decine di milioni (tra 50 e 70) il deficit fatto registrare dall’ultimo bilancio consolidato della Santa Sede. Una cifra che se pure chiede di essere ridotta (e lo stesso Galantino ha ricordato come in Vaticano si stia operando già alacremente per una opportuna spending review) non preoccupa assolutamente, né per le sue dimensioni, né per le cause che l’hanno determinata.
Quanto a queste ultime, poi, è da escludere nella maniera più assoluta, viene sottolineato con forza, che si tratti di incapacità gestionale o, peggio, di malversazioni e illeciti. Niente a che vedere neanche con il caso in queste settimane sotto la lente d’ingrandimento della giustizia d’Oltretevere per quanto riguarda l’acquisizione di un immobile a Londra.
A pesare sulle casse della Santa Sede è soprattutto il costo per il personale. E proprio su questa voce di spesa si stanno concentrando le attenzioni del Consiglio per l’Economia, cioè l’organismo posto da papa Francesco al vertice della gestione economica vaticana con la riforma del 2016. Vediamo di entrare maggiormente nel dettaglio.
Stando agli ultimi dati ufficialmente disponibili (2014), sul 'libro paga' d’Oltretevere figuravano complessivamente 4.810 dipendenti (tra ecclesiastici e laici). Più in particolare 2.880 erano dipendenti della Santa Sede (cioè coloro che lavorano nei dicasteri della Curia Romana, nelle commissioni, nelle nunziature e in tutti gli altri organismi della Santa Sede stessa) e 1930 erano in forze al Governatorato, cioè l’organismo esecutivo dello Stato della Città del Vaticano: i poliziotti della Gendarmeria, i dipendenti dell’Annona (in pratica il supermercato del piccolo Stato), gli addetti ai distributori di carburante e quelli dello spaccio interno, della farmacia, del servizio di igiene e sanità, delle poste e telegrafi, gli operai e tutti coloro che lavorano per far funzionare la macchina del minuscolo territorio entro la cinta delle Mura Leonine (0,44 chilometri quadrati).
La crescita dei costi del personale, spiegano fonti vaticane, è dovuta principalmente agli scatti di carriera e di anzianità di questi quasi cinquemila dipendenti, che non hanno certo stipendi da favola, ma in buon numero sono in possesso di un profilo professionale medio-alto. Si pensi infatti che nel 2014 solo i dipendenti della Santa Sede (2880, come abbiamo visto) incidevano sul bilancio con un costo di 126,6 milioni di euro.
Che cosa si sta facendo, dunque, per ridurre i costi? Sul finire del 2018 l’allora C9 (oggi C6), cioè il gruppo di cardinali che sta aiutando papa Francesco nella riforma della Curia, rese noto che si sta pensando a un piano di lunga durata (cinque-dieci anni) per ridurre il numero dei dipendenti. Non sono previsti licenziamenti, ovviamente, ma si ricorrerà ove possibile al prepensionamento e alla redistribuzione di eventuali esuberi tra i diversi dicasteri, secondo un progetto di razionalizzazione degli incarichi e delle mansioni. Dal 2009 i dipendenti laici vaticani vanno in pensione a 65 anni. Anche in merito alla dimensione del deficit, è utile rifuggire da inutili allarmismi. I bilanci in rosso, in Vaticano, non sono una novità.
Nel 1980 i miliardi di vecchie lire di passivo furono 31. Una cifra che - se ricalcolata con i tassi di inflazione di questi 39 anni - non è lontana dall’attuale, anzi è probabilmente superiore.
La via del risanamento passa proprio attraverso le riforme varate da papa Francesco. Primo tra tutti la recezione nei dicasteri della Curia della cultura del budget, che rappresenta lo strumento della pianificazione delle attività e per supportare e orientare le scelte proprie di ciascun dicastero. Nel frattempo la Segreteria per l’Economia ha elaborato un Regolamento generale sui contratti pubblici della Santa Sede, il cui iter di approvazione è in corso.
Una sorta di 'codice degli appalti' per rendere sempre più unitaria e trasparente la gestione degli acquisti. E contribuire così a quella spending review che è la bussola del nuovo corso voluto dal Papa.