venerdì 24 novembre 2017
Parla la docente di Psicologia dello sviluppo: «Genitori e insegnanti spieghino bene ai ragazzi cosa vale davvero in una relazione»
«Vanno potenziati i centri. Serve una rete di protezione»
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Per combattere la violenza alle donne, è importante saper leggere anche i silenzi. «In molti casi non si parla perché che c’è in atto un ricatto emotivo, una minaccia, una ritorsione. Succede a casa, sul lavoro, all’università, in politica – osserva Paola Di Blasio, docente di Psicologia dello sviluppo all’Università Cattolica di Milano – e se è vero che occorre innanzitutto non sottovalutare i segnali delle persone che denunciano, poi è necessario fare altro: individuare prima i rischi di una relazione malata, scoprire se in un rapporto a due c’è chi ha bisogno di esercitare potere e controllo, scorgere eventuali difficoltà pregresse legate al rapporto con figure di riferimento».

Mai come adesso si sta facendo un lavoro di sensibilizzazione anche a livello di pubblica opinione, eppure i femminicidi non sono calati.

È vero, soprattutto in quest’ultimo anno ci si è mossi in molti per testimoniare l’importanza di questo tema e la mobilitazione da parte di grandi personalità pubbliche non può che servire alla causa. Dobbiamo cioè disattivare sul nascere chi tende a giustificare tutto e a trovare alibi per chi agisce in maniera violenta. Poi, ovviamente, bisogna distinguere comportamento da comportamento.

In che modo?

Quando parliamo di femminicidio, siamo in presenza di una dinamica patologica e criminale che, come tale, va perseguita. Quanto agli altri tipi di molestie, occorre valutare caso per caso e non è mai facile arrivare a una regolamentazione che tuteli appieno le donne. Si fa poco sia in Italia che in Europa, ma il primo intervento deve essere sempre di natura educativa. Vanno indagate a fondo le relazioni affettive più significative: anche una persona apparentemente normale può nascondere antichi fantasmi nel proprio passato.

Chi fa prevenzione sul territorio da tempo lamenta mancanza di fondi e di aiuti pubblici.

È un allarme da raccogliere. Vanno potenziati i centri antiviolenza, gli unici che possono davvero realizzare una rete di protezione quando la donna resta sola. A loro va il merito di presidiare il territorio, di sostenere le vittime restituendo loro un po’ di sicurezza e dignità nei momenti bui. Mettere intorno a un tavolo polizia, psicologi, educatori e assistenti sociali resta un fatto determinante.

Che compito può avere invece la scuola?

Ai nostri adolescenti va spiegato che i fenomeni di prevaricazione e di prepotenza si manifestano già in età precoce, quando si danno i primi appuntamenti in Rete, magari attraverso i social network. È importante che, già allora, genitori e insegnanti si impegnino a spiegare bene ai ragazzi cosa vale davvero dentro una relazione e a cogliere segnali di disagio e subalternità.

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