martedì 25 agosto 2015
Il cardinale vicario ha posto le vicende che scuotono Roma tra le intenzioni del tradizionale pellegrinaggio diocesano a Lourdes. Caso Casamonica, aperta un'inchiesta. E oggi Messa di suffragio "privata".
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«Andiamo a chiedere al Signore un rinnovamento per Roma e per la nostra Chiesa»: è la dichiarazione, resa alla Radio Vaticana, con la quale il cardinale vicario di Roma Agostino Vallini ha riassunto lo spirito della tradizionale visita a Lourdes della diocesi di Roma, alla partenza da Fiumicino. Fino a sabato i mille partecipanti al pellegrinaggio rifletteranno sul tema «La gioia della missione». Fra loro, anche un centinaio di universitari romani, accompagnati dal vescovo ausiliare, Lorenzo Leuzzi, delegato per la Pastorale universitaria diocesana. Nella frase di Vallini si coglie l’eco delle recenti vicende che hanno scosso Roma, le istituzioni e la gente, dall’inchiesta Mafia Capitale al caso del funerale di Vittorio Casamonica che ha fatto il giro del mondo. Quanto a quest’ultimo episodio, la procura di Roma ha aperto un fascicolo. L'inchiesta, contro ignoti e senza ipotesi di reato, è stata aperta dopo un esposto presentato dal movimento politico Lega Italica. Intanto è prevista per mercoledì nella parrocchia di San Girolamo Emiliani una Messa di suffragio chiesta dai parenti. L’intenzione applicata alla liturgia avrebbe dovuto rimanere riservata, per garantire la serenità della celebrazione, ma la notizia è trapelata. Per il comprensibile disappunto del parroco padre Francesco Fissore, dei padri Somaschi cui è affidata la comunità in borgata Morena, tra Tuscolana e Anagnina: «È una famiglia che chiede una Messa per una persona che è morta. Non c'è nessun crimine. A chi critica dico che come diceva Gesù: "Non sono i sani che hanno bisogno, ma i malatì"». Il parroco spiega poi che a casa dei Casamonica «non ci sono andato perché nessuno lo ha mai chiesto. I figli, i nipoti, i ragazzi, frequentano l'oratorio e le altre attività. Sono cristiani, pregano. A noi non hanno mai dato alcun problema. Hanno un loro modo di fare. Adesso si dice stile gipsy. Non mi sembra una cosa da fuorilegge. In una Messa di suffragio, "di ottava", come si dice a Roma, a otto giorni dalla morte, si chiede solo che il Signore  abbia pietà, solo questo. I parenti del defunto si sono detti confusi e meravigliati di tutto il clamore suscitato. Il funerale era una cosa loro».Sui casi di cronaca dei quali è stata protagonista Roma ha preso posizione il sociologo Giuseppe De Rita, fondatore e presidente del Censis. In una lunga intervista all’agenzia Sir, De Rita – romano doc – spiega che «quella romana è una società fragile, debole, frastagliata. E se pensiamo alla struttura economica della città, vediamo prevalere due settori: il turismo e la pubblica amministrazione. Ma questi due settori non sono certo i più orientati all’innovazione, all’investimento, al miglioramento qualitativo del tessuto sociale o infrastrutturale. In fin dei conti l’operatore turistico aspetta che arrivi il cliente, mentre la pubblica amministrazione è tradizionalmente volta più a conservare che a innovare. In tal senso non vedo un dinamismo diffuso e la società romana non appare spinta a progettare e plasmare il proprio futuro». Parlando poi della politica romana, De Rita afferma che «dovrebbe provare a indicare una direzione» per Roma capitale, assegnando «un’ambizione condivisa a una società seduta. Personalmente ritengo che noi romani non abbiamo sviluppato appieno il senso della dignità di Roma capitale. Ricordiamo anche che storicamente la capitale a Roma l’hanno voluta più i padri risorgimentali che non i romani stessi, i quali in qualche modo l’hanno subita». Ricordando il convegno ecclesiale sui "mali di Roma", promosso nel 1974, il sociologo afferma di essere «convinto che prima bisognerebbe pensare alla qualità della città, alla qualità della vita a Roma, poi ci si potrà orientare verso il profilo della capitale. Per far questo occorre in primo luogo far crescere il senso di comunità. Cominciando dal basso, dai quartieri, con i romani protagonisti del loro futuro. Mettendo in comune obiettivi alti, grandi ambizioni. Se nascessero questi progetti di ampio respiro, noi romani li potremmo perseguire insieme. Anche nel ’74 si era fatto questo discorso, volto a costruire un tessuto comunitario. Ma siamo rimasti là». Quanto al ruolo dei cattolici, De Rita ritiene che «possano veramente costituire una delle risorse e delle speranze di questa città. Perché se ci pensiamo sono proprio i cattolici che sviluppano e perseguono un senso comunitario, che vivono nelle parrocchie, che danno vita ad associazioni, gruppi, volontariato. Si tratterebbe semmai di chiamare i cattolici che vivono a Roma a un rinnovato senso di responsabilità civica e di protagonismo sociale e politico che può portare grande valore aggiunto alla città».

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