lunedì 26 agosto 2013
​L’associazione “La strada per l’arcobaleno” è in Sardegna con 130 persone in carrozzina. «Cerchiamo l’Italia accessibile», dice la vice-presidente Marinelli.
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Metti un gruppone di 130 disabili, tutti in carrozzella, in un villaggio turistico nelle settimane centrali d’agosto. Una bella sfida alla capacità di accoglienza del territorio e dei turisti “normali”, ma anche un’occasione, per gli stessi ragazzi, di avviarsi lungo la strada dell’autonomia, visto che, per tanti, è la prima volta senza genitori. È ciò che sta accadendo, in questi giorni, all’Hotel Marina Beach di Orosei (Nuoro), scelto dall’associazione “La strada per l’arcobaleno” di Roma (che da vent’anni si occupa di persone con spina bifida e idrocefalo), per la vacanza comunitaria 2013. Per i partecipanti un momento di amicizia e condivisione in uno degli angoli più belli della Sardegna; per l’associazione una nuova occasione per andare “Alla scoperta dell’Italia accessibile”. Si chiama così il progetto che, da sette anni, sta portando avanti la vice-presidente Carla Marinelli, 45 anni, che si propone di tracciare una sorta di mappa dell’accoglienza lungo le spiagge dello Stivale.«Vogliamo abbattere le barriere architettoniche ma anche culturali, che sono quelle più difficili da superare per pigrizia e ignoranza – racconta –. Anche semplicemente andando in vacanza, come tutti, vogliamo dire che ci siamo, che desideriamo una vita piena e felice. In questi anni abbiamo abbattuto diversi muri e anche chi, all’inizio, ci guardava con diffidenza, ora si sta rendendo conto che i disabili sono una risorsa per la società».Se ne stanno accorgendo anche le famiglie che, prima timorose, ora vedono nella vacanza un momento forte di crescita dei propri figli. «Con noi abbiamo volontari e professionisti preparati e pronti a intervenire per qualsiasi necessità – spiega Marinelli –. I genitori possono stare tranquilli. In più cerchiamo di spronare i ragazzi ad essere più autonomi, a cavarsela anche da soli».Proprio ciò che cerca Concetta Giambruno, 27 anni di Torino, alla sua terza vacanza con l’associazione. Impiegata in un call center, Concetta sogna di viaggiare e conoscere posti nuovi, portando la propria esperienza di disabile «in mezzo alla gente». «Aspetto tutto l’anno questa settimana – dice – perché qui ritrovo tanti amici sparsi per l’Italia. Confrontando le nostre esperienze ci accorgiamo che tanto resta da fare per rendere il nostro Paese davvero accessibile a tutti. Non ci accontentiamo di trascorrere una bella vacanza, ma vogliamo che l’attenzione che troviamo qui ci sia anche nelle nostre città».Concetto efficacemente espresso da Francesca Di Maria, siciliana di 53 anni, mamma di Giuseppe, 24enne con spina bifida e infermiera volontaria al seguito dei ragazzi: «I nostri figli vogliono vivere 365 giorni all’anno». «Questi ragazzi – aggiunge – hanno bisogno di vivere come tutti i loro coetanei, ma spesso le famiglie non ce la fanno. Noi genitori ci sentiamo abbandonati dalle istituzioni, che invece dovrebbero aiutarci ad accompagnare i figli sulla strada dell’autonomia. Non chiediamo soldi ma un po’ di attenzione in più. Non ci arrendiamo ma a volte è dura andare avanti con serenità».Un appello che, almeno sul versante delle infrastrutture turistiche è stato accolto. Come testimonia Pietro Loi, esponente di una famiglia di imprenditori del turismo tra le più importanti della Sardegna e titolare del Marina Beach di Orosei. «La struttura – sottolinea – è stata progettata e realizzata, una decina di anni fa, escludendo le barriere architettoniche. E questo ci ha permesso, fin da subito, di poter ospitare disabili, trasmettendo questa sensibilità al nostro personale».Loi non considera «eccezionale», la scelta di ospitare 130 disabili in carrozzina, oltre il 10% della capacità dell’albergo, nelle settimane centrali di agosto, correndo il rischio di urtare la “sensibilità” degli altri turisti. E, assicura, non è “merito” della crisi. «Li abbiamo accolti e basta», taglia corto. «Certo – aggiunge – chi cerca il mercato non deve porsi limiti o creare esclusioni. Ma questo viene dopo. Per noi, prima, c’è il rispetto della persona. Disabile o no».
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