mercoledì 31 agosto 2016
​L'ex sindaco di Roma ed ex ministro: subito un piano per la messa in sicurezza dei centri più a rischio.
Rutelli: «Va introdotta la carta d'identità del fabbricato»
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Il terremoto di Amatrice chiama in causa Roma. «Lo raccontano quegli archi del Colosseo ancora oggi visibilmente piegati su se stessi dal rovinoso terremoto che, nel 1703, con epicentro proprio Amatrice, causò danni anche a Roma», ricorda Francesco Rutelli. Ex sindaco della Capitale ed ex ministro dei Beni culturali, c’è tutto il suo vissuto politico nel suo post di qualche giorno fa su Facebook, per lanciare una proposta. Un grande piano che riguardi tutti, privati e istituzioni pubbliche, per mettere a norma il patrimonio edilizio, nei luoghi a rischio, ma non solo. «Roma non è stata immune. Il crollo nel sisma del 1348 della Torre delle Milizie in largo Magnanapoli ne è una conferma emblematica».Lei ricorda il crollo al Portuense che nel 1998 causò 27 morti, senza scosse.Quel crollo fu causato probabilmente da vecchie inadeguatezze costruttive, e attività improprie successive sulle cui responsabilità, però, non si è riuscito a fare chiarezza. Ma è l’indice di un problema più ampio. La verifica strutturale dei fabbricati costruiti negli anni 40 e 50 con materiali poveri e tecniche superate deve condurre al più presto a ristrutturazioni o abbattimenti.Ma Roma c’entra questo con questo terremoto?C’entra innanzitutto perché è la seconda città per numero di vittime, ben 70, a ricordare i legami indissolubili di tanti romani con quelle terre. In tanti proprietari di seconde case, e come tali tenuti fuori dagli incentivi per la messa in sicurezza.Guai a considerare le seconde case estranee al processo. Ci sono centinaia di piccoli centri montani che si spopolano o si ripopolano a seconda della stagioni: se non vogliamo ridurli a residenza di poche centinaia di anziani dobbiamo favorire il senso di comunità che permane fra i proprietari, residenti in pianta stabile o meno.Lei propone la "carta d'identità del fabbricato". Difficile arrivarci senza coinvolgere tutti i condomini.Certo.Va penalizzato invece chi ha creato opere abusive non messe a norma, tenendolo fuori dai contributi. I fatti dimostrano, invece, che chi ha speso soldi ad Amatrice - conosco famiglie romane che l’hanno fatto - per la messa in sicurezza ha visto la sua casa risparmiata. Questi comportamenti vanno incentivati e premiati.Purtroppo sono una minoranza.Perciò serve un piano. Vanno valutate, per centri piccoli colpiti o a rischio, proposte come quelle che avanza l’Anci di rispolverare le cosiddette 'Stu', società per azioni miste di trasformazione urbana, che possono supportare centri che contano sì e no un ingegnere fra i dipendenti (magari 'a scavalco' fra più Comuni) aiutare la pianificazione e mettere in mora gli inadempienti.La carta d'identità del fabbricato come può funzionare?A Roma la introducemmo, ma ci dissero che se lo Stato è inadempiente a casa sua, per opere realizzate non a norma, non può costringere piccoli proprietari ad affrontare onerose certificazioni. Scattarono i ricorsi e perdemmo la battaglia. La "carta d'identità del fabbricato" è allegata in genere alle polizze assicurative, ma non c’è l’obbligo. Sollecitammo e ottenemmo una delibera della Regione Lazio, proponemmo anche un disegno di legge, ma alla fine non se ne fece niente. Ora è il momento di ritornarci.Purché ognuno faccia la sua parte.Lo Stato deve mettere in sicurezza i beni di sua competenza (uffici, opere pubbliche e beni culturali) ai privati vanno accordati benefici: contributi, esenzioni o mutui.Un’opera immane.Si deve procedere per cerchi concentrici. Identificate le aree più a rischio vanno fatti subito programmi pubblico- privato. Passando dall’attuale congerie di certificazioni (energetiche, delle caldaie) a un’unica 'carta di identità' che includa le verifiche strutturali.Tornando a Roma, come procedere?Le aree più a rischio si conoscono. Non è possibile che dopo 60 anni un patrimonio edilizio non venga riesaminato. Un esempio: con la mia giunta facemmo la verifica di tutti i palazzi di Piazza Vittorio, risalenti all’epoca umbertina. Edifici costruiti in fretta e molto economicamente. Alcuni recavano crepe anche per il passaggio della metropolitana. Molti li abbiamo ristrutturati. Si può fare.Renzi con 'Casa Italia' sembra andare in questa direzione.È un orizzonte molto interessante. Significa meno spese di espropri, meno cemento, e più valorizzazione del patrimonio esistente. Significa più artigiani e meno gru. Il problema sorge per lo scetticismo che scatta ogni qual volta si parla di opere pubbliche. Si pensa alla corruzione, a una nuova 'mangiatoia'. Mi permetto umilmente di ricordare che nei 3 anni prima del Giubileo del 2000 abbiamo aperto 800 cantieri pubblici, e messo 100 miliardi per i condomìni, per rifare la facciata e le parti comuni. Si riconoscono ancora quelli che ne hanno fatto uso. Ebbene, in tutta quest’opera (conclusa nei tempi) non abbiamo avuto inchieste o morti sul lavoro. Ripeto: si può fare, se la politica torna a fare la sua parte, indicando una prospettiva e facendo i controlli.
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