lunedì 14 aprile 2014
​I suoi difensori hanno presentato entrambi un certificato di malattia. L'ex senatore, condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, resta in stato di arresto a Beirut.
LA SCHEDA Il manager che creò Forza Italia
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Una breve Camera di consiglio e quindi un rinvio a nuova data. È lo scenario che diverse fonti della Cassazione ipotizzano per l’udienza di martedì 15 aprile sulla vicenda processuale dell’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, condannato nel 2013 a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa dai giudici d’Appello di Palermo. Il rinvio viene dato per probabile, per via dei due certificati di malattia inviati da Massimo Krogh e Giuseppe Di Peri, avvocati di Dell’Utri, il primo pervenuto una settimana fa, il secondo sabato. Il rinvio, in ogni caso, dovrebbe congelare i tempi per il computo della prescrizione (che secondo alcuni calcoli potrebbe maturare a luglio). «La giustizia farà il suo corso», osserva il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Nel frattempo, l’ex senatore (su cui pende un’ordinanza di custodia cautelare emessa dai magistrati palermitani, in seguito alla sua "sparizione" di fine marzo) resta a Beirut, detenuto in una cella della sezione del Comando di Polizia: domenica ha ricevuto la visita della moglie e di un figlio, che gli hanno consegnato farmaci e alcuni libri. Dell’Utri si è mostrato di buon umore ed ha assicurato loro di essere «trattato bene». Finora non è comparso davanti ai magistrati locali. «In linea di principio», fa sapere il procuratore generale della Cour de Cassation, Samir Hammud, potrebbe rimanere in stato di arresto a Beirut fino alla decisione sul provvedimento italiano: «Fino alla ricezione del dossier con la richiesta di estradizione – afferma l’alto magistrato –, non ho nemmeno l’obbligo di vedere il detenuto per un’udienza». Il politico siciliano è stato arrestato sabato in Libano in un lussuoso hotel della capitale, il giorno dopo essere stato dichiarato latitante dalle autorità italiane, ma ha sostenuto di essersi recato all’estero per «motivi di salute». Nel marzo 2013 (dopo che la Cassazione aveva annullato con rinvio una sentenza del 2010) la III sezione penale della Corte d’appello di Palermo aveva confermato a suo carico la condanna a 7 anni: le motivazioni lo descrivono come «mediatore contrattuale» di un «patto» stretto nel 1974 tra Cosa nostra e l’allora imprenditore Silvio Berlusconi.
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