sabato 9 aprile 2016
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Se c’era ancora bisogno di una conferma, ieri è arrivata. È ufficiale: l’Egitto ha qualcosa da nascondere sul delitto di Giulio Regeni e non ha interesse a che la verità emerga e i colpevoli siano puniti. E l’Italia non può far finta di niente. Deve agire, perché l’interesse nazionale coincide esattamente con quello della giustizia. C’è da garantire verità alla famiglia del giovane torturato e assassinato e a noi tutti, suoi concittadini. Non è più il momento di mediare e spingere sui tasti della cosiddetta 'moral suasion', per dare al Cairo una via di uscita morbida ma non assolutoria. Con la beffa della visita quasi turistica degli investigatori egiziani a Roma, attesi invece con carte complete, precisi elementi di indagine e chiara volontà di fare chiarezza, la vicenda compie un drammatico salto di qualità. E ora è necessario far sì che l’Egitto abbia preciso interesse a trovare e indicare i responsabili del delitto. Ci si può riuscire con la pressione diplomatica: il richiamo per consultazioni del nostro ambasciatore è un primo passo; con la pressione economica: si pensa a misure per scoraggiare il flusso turistico verso Mar Rosso e Piramidi; con la politica in senso pieno: agendo sui fronti cui il regime del presidente al-Sisi è più sensibile, a partire dall’immagine internazionale in materia di diritti umani (l’omicidio Regeni rientra in un panorama di sparizioni ed esecuzioni su cui finora si è sorvolato per motivi di 'alleanze obbligate'). C’è chi teme che per questo perderemo affari. C’è chi pensa che addirittura favoriremo l’islamismo radicale e ci creeremo problemi ulteriori anche in Libia. Non è detto. Ma è vero che si sono sempre prezzi da pagare quando una democrazia affronta una sfida. Prezzi che alla lunga possono rivelarsi guadagni per tutti. Anche per chi cammina sulla strada di un mondo arabo (e islamico) più libero, trasparente e giusto.
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