martedì 28 novembre 2017
Tre anni di inchieste sulle condotte illecite nel settore. Il procuratore Raimondi: c'è un pericolo ambientale
Il rogo alla Trailer di Rezzato, dove erano stoccate tonnellate di rifiuti

Il rogo alla Trailer di Rezzato, dove erano stoccate tonnellate di rifiuti

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È un’inchiesta che risale a tre anni fa, quella che ha portato a parlare di nuova 'Terra dei fuochi' il procuratore aggiunto di Brescia, Sandro Raimondi, ascoltato a metà settembre dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite nel ciclo dei rifiuti: la questione esplose, in ogni senso, con l’incendio alla Trailer di Rezzato, nel Bresciano, dove erano stoccate 1.000 tonnellate di rifiuti campani destinati al termovalorizzatore A2a di Brescia. Rifiuti che non erano stati neppure trattati perché, come sottolineato dalle parole di Raimondi, citando un’intercettazione, «il rifiuto meno lo tocchi e più guadagni». Dalle indagini in corso, la situazione, ad oggi registrata, è quella di un’inversione di tendenza dei rifiuti illeciti, sia per il trattamento che per il commercio, dal Sud al Nord, dove le pratiche illegali costituiscono prassi operativa e qualificante di alcune imprese del settore, a tal punto che – dal resoconto stenografico dell’audizione – emerge il quadro di un sistema bresciano «abile» e consolidato da fare a meno delle «competenze» ’ndranghetistiche e camorristiche.

Questi «reati di impresa», resi possibili dagli «inquietanti rapporti con la pubblica amministrazione», vedono al centro il traffico illecito di rifiuti urbani recuperati da società, quali la Sapna di Napoli, la Colari di Roma, l’Acam di La Spezia. I rifiuti finivano negli impianti del Nord senza però essere trattati, come riferito dal procuratore Raimondi e dal maggiore dei carabinieri del Noe di Milano, Piero Vincenti. Attraverso tre aziende (la bresciana Crystal Ambiente, la bergamasca B&B e la comasca Bps) ben 100mila tonnellate di rifiuti, che non necessitavano di smaltimento, sono state trasferite ad altrettante imprese: Hera Ambiente, A2a Ambiente e Aral Alessandria.

La monnezza terminava così sparsa negli impianti in Lombardia e non solo: si impiegava persino un sito esaurito nei pressi di Alessandria, non più capace di ricevere rifiuti. Regista e trait d’union di questa architettura di relazioni sarebbe stato Paolo Bonacina che, anche grazie ai rapporti personali con i responsabili tecnici, «assicurava agli indagati il ricevimento di materiale non conforme e tuttavia non contestato»: ciò emerge dal rapporto del gip del tribunale di Brescia, Alessandra Sabatucci. Una filiera sporca a cui vanno aggiunti gli affari oscuri riservati dalle amministrazioni pubbliche alle emergenze rifiuti del sud Italia: da qui l’iscrizione nel registro degli indagati di molte persone, tra cui manager delle multiutility coinvolte, il sequestro del capitale sociale di B&B, Bps, Crystal Ambiente e di automezzi utilizzati per il trasporto. Nella stessa sede, il procuratore ha esplicitamente fatto riferimento al «pericolo ambientale» (anche perché i rifiuti erano tumulati anche in siti esauriti) a quello, altrettanto subdolo, determinato dalla Il procuratore aggiunto di Brescia, Sandro Raimondi, ascoltato due mesi fa dalla Commissione parlamentare d’inchiesta joint venture pubblico-privato e relativi traffici di influenze, che ha portato ad un giro di 100mila tonnellate di ecoballe e per il quale è stato fondamentale «contestare i reati associativi», ha sottolineato Raimondi. Nei prossimi giorni ci sarà l’attesa sentenza di una vicenda travagliata e dolorosa.

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