giovedì 31 luglio 2014
La Fondazione Moressa: oltre il 70% dei nuclei stranieri in Italia vive con meno di 20mila euro all’anno, contro il 34% di quelli italiani.
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Oltre un terzo delle famiglie straniere in Italia vive in condizioni di povertà anche se il capofamiglia lavora. In media, il reddito dei nuclei degli immigrati è pari alla metà circa di quello degli italiani. Lo sostiene uno studio della Fondazione veneziana 'Leone Moressa', tra primi a fotografare la condizione di marginalità economica e sociale dei nuclei stabili e regolari per residenze e occupazione. Famiglie integrate, ma povere, dunque.  «In Italia – sostiene lo studio – il 34% delle famiglie straniere vive sotto la soglia di povertà. Possono contare su un reddito medio annuo di 16.629 euro, derivante nell’84% dei casi da lavoro dipendente. Il consumo annuo, che ammonta a 17.593 euro (964 euro di differenza, ndr) non consente alle famiglie di risparmiare, ma le porta invece a intaccare i risparmi o ad indebitarsi. Sono inoltre poche quelle che posseggono una carta di credito, solo il 7,8% rispetto al 30% delle famiglie italiane». La Fondazione rileva che «oltre il 70% delle famiglie straniere vive con meno di 20mila euro all’anno, contro il 34% di quelle italiane». Il basso reddito per i magri salari è la principale causa della povertà di molte famiglie straniere. Da rilevare la disuguaglianza tra redditi medi stranieri e italiani. I primi ammontano infatti mediamente a 16.629 euro, quasi la metà di quello di una famiglia italiana che è di 31mila euro. La quota di individui stranieri definiti «poveri» risulta pari al 33,9%. Per i componenti di famiglie italiane i poveri sono il 12,4%. La recessione, secondo la Moressa «sta mostrando come gli stranieri siano l’anello debole del mercato del lavoro e rischia di privare gli immigrati dell’unica fonte di reddito su cui le famiglie possono fare affidamento: il lavoro dipendente». Senza lavoro, tra l’altro, gli stranieri rischiano di perdere la regolarità del permesso di soggiorno. La povertà tra i migranti deriva dalla composizione stessa delle famiglie, in prevalenza monogenitoriali (37,8%) e giovani (quasi il 27% ha meno di 34 anni) e dalla peggiore condizione professionale. Mentre gli stranieri sono in prevalenza dipendenti (86%) e occupano i ruoli più bassi – solo il 2% ha la qualifica di operaio; impiegati o dirigenti sono appena il 3,6% – il 43% dei capifamiglia italiani è dipendente (appena il 20% ricopre ruoli da operaio) e l’11% è un lavoratore autonomo. Quasi quattro soggetti su dieci sono pensionati. Infine, il 70% degli stranieri del campione si concentra nelle aree settentrionali del Paese dove il costo della vita è più elevato, il 20% al Centro e appena il 6,4% al Sud.  Si comprende come molte famiglie immigrate non riescano quindi a risparmiare, anzi. La loro propensione media al consumo, ovvero il rapporto tra consumo e reddito, è pari al 105,8%. Resistono grazie alla rete solidale della comunità. Per contro, una famiglia di origine italiana spende all’anno 25.283 euro risparmiandone mediamente 6.000 con una propensione al consumo di 25 punti percentuali inferiore, l’80,5%. La crisi ha fatto perdere alle famiglie oltre 4.000 euro: quelle straniere ne hanno persi 2.000, le italiane il doppio. Ma si registra per entrambe, secondo la Fondazione specializzata nell’immigrazione, una perdita di circa il 13% del reddito.
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