venerdì 1 marzo 2019
L’Anci e la Confcommercio hanno sottoscritto un accordo per incentivare l’acquisto di libri nelle biblioteche civiche e agevolare la fiscalità locale
Tra Comuni e librai un patto per la lettura
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Far crescere il senso civico degli italiani promuovendo la lettura; favorire la conoscenza della realtà sociale, politica ed economica del nostro Paese anche attraverso i libri, considerati come uno strumento fondamentale per la diffusione della cultura. L’accordo stipulato ieri tra l’Associazione nazionale dei comuni d’Italia e i librai di Confcommercio si pone anche questi obiettivi. Per affrontare la crisi.

Ma cosa sta succedendo? «A dicembre, per esempio, ha chiuso i battenti la “Libreria dei sette” a Orvieto, aperta nel 1922 in uno storico palazzo del centro – racconta Ambrosini – , una decisione dovuta alla contrazione delle vendite ma anche disaccordi con il Comune. A Napoli è sparita la Libreria Universitaria, uccisa dalle fotocopie dei testi, un fenomeno diffuso che mette in ginocchio anche l’editoria di settore. E a Roma si è persa l’identità originaria di Arion, una rete di librerie indipendenti nata più di 50 anni fa dalle bancarelle di via delle Terme di Diocleziano gestite da Marcello Ciccaglioni, ora affiliata a un gruppo nazionale».

Ora il “protocollo d’intesa” siglato da Anci e Ali traccia un indirizzo politico a cui le amministrazioni comunali dovranno adeguarsi. In che modo? Facilitando l’uso delle sale civiche per presentazioni di libri, incontri con gli autori, eventi, rendere prioritari gli acquisti di volumi nelle biblioteche, agevolare la fiscalità locale ai titolari delle librerie, calmierare il costo degli affitti.

Il “patto” sottoscritto dal presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, e dal presidente dell’Associazione Librai Italiani aderente alla Confcommercio, Paolo Ambrosini, si propone dunque, innanzitutto, il riconoscimento delle librerie quali interlocutori primari e diretti dei Comuni per le iniziative nel campo della promozione della lettura. L’intesa impegna anche le due associazioni a collaborare nell’organizzazione delle attività previste dall’iniziativa “La Città che legge” voluta dal Centro per il Libro e la Lettura del Mibac per la promozione di rassegne, festival e fiere dell’editoria. Le civiche amministrazioni saranno invitate anche a sottoscrivere un “Patto locale per la lettura”, allo scopo di realizzare una programma congiunto degli eventi di promozione della lettura sul territorio.

Il documento prevede pure un’azione congiunta delle due associazioni su governo e parlamento perché attivino iniziative di sostegno alle librerie e al loro ruolo culturale: interventi per incentivare i consumi culturali in libri, rifinanziamento del credito d’imposta alle librerie, incentivi per l’apertura di nuovi esercizi, soprattutto nelle zone del Paese che ne sono attualmente sprovviste. Anche se non esiste un censimento ufficiale, in base a una stima delle associazioni di categoria in Italia sono aperte circa duemila librerie (appartenenti a catene o indipendenti), concentrate sopratutto al centro-nord. Molte, troppe, sono costrette a chiudere, a causa delle vendite online, della digitalizzazione dell’editoria e della scarsa propensione degli italiani alla lettura. «Va tenuto presente che più di 13 milioni di italiani non hanno una libreria nel comune di residenza, noi invece da sempre sosteniamo che per i nostri territori, le nostre città, la presenza delle librerie rappresenta un valore aggiunto in grado di portare maggiore socialità – commenta Ambrosini –, più vita culturale e in prospettiva più benessere perché libro e lettura sono gli attivatori dei processi di innovazione e di migliore comprensione dei fenomeni socio-culturali che attraversano il nostro tempo».

Si rischia, in sostanza, di perdere un servizio essenziale. «Occorre una linea mediata tra il cliente-lettore e il prodotto che intende acquistare – dice il presidente di Ali-Concommercio – perché vendere libri non è solo un’attività commerciale in quanto serve proporre un catalogo, capire e indirizzare i gusti di chi entra in negozio, affiancarlo, andare oltre le pure indicazioni del mercato». Perché anche dietro al bancone è necessario un lavoro culturale.

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