sabato 17 gennaio 2015
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La Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2015 diventa l’occasione  per leggere nella Chiesa e nel nostro Paese la situazione delle migrazioni economiche e forzate. Il messaggio del Papa quest’anno coniuga il tema delle migrazioni con quello della fraternità - valore non solo religioso, ma civile - e della maternità della Chiesa, sollecitando percorsi educativi e culturali per costruire un mondo "senza frontiere". Purtroppo la frontiera sembra essere una categoria di ritorno nel contesto europeo: lo dimostrano eventi discriminatori in aumento, uniti alla crescita di formazioni politiche fortemente nazionalistiche, come anche il ritorno al controllo delle frontiere nel Mediterraneo o referendum, come in Svizzera, per fermare la crescita dei lavoratori italiani frontalieri. Addirittura qualcuno paventa, senza alcun senso politico, la fine del trattato di Schengen. Che, dal 1984, significò l’avvio di un’Europa senza frontiere, «consapevoli che l’unione sempre più stretta fra i popoli degli Stati membri delle Comunità europee deve trovare la propria espressione nella libertà di attraversamento delle frontiere interne da parte di tutti i cittadini degli Stati membri e nella libera circolazione delle merci e dei servizi», come si legge nel testo del trattato. In Italia il 2014 è stato l’anno del forte calo dei migranti economici, che in alcune città è diventato anche, per la prima volta, il calo del numero degli immigrati a seguito delle partenze. Il 2014 è stato segnato anche dalle numerose partenze di giovani italiani e disoccupati per altri Paesi europei. Ormai il numero degli emigranti italiani - oltre 4.500.000 - sta raggiungendo il numero degli immigrati in Italia , stimati in circa 5 milioni. L’Italia ha visto, invece, arrivare nel 2014 un flusso considerevole di migranti forzati - oltre 170.000 di cui 66.000 rimasti sul territorio italiano - in particolare sulle coste e nei porti siciliani diversamente dagli anni 2011-2013, che vedevano protagonista degli sbarchi l’isola di Lampedusa. Il  passaggio dall’isola ai porti del Mezzogiorno è avvenuto grazie al grande investimento nell’operazione Mare nostrum, che ha portato a presidiare i confini europei e italiani del Mediterraneo e ad usare le navi militari italiane per intercettare, accompagnare barconi con persone in fuga e colpire i trafficanti (oltre 700). Tutti avremmo sperato che questa operazione si rafforzasse e diventasse un investimento europeo, almeno finché l’Europa fosse stata in grado di accompagnare i popoli da cui provenivano le persone in fuga sui barconi in un processo di pace, sviluppo, democrazia. Purtroppo, dietro insostenibili ragioni economiche, l’operazione è stata chiusa e trasformata in una nuova operazione di controllo dei confini. Così il Mediterraneo è diventato di nuovo il mare di altri, di altri trafficanti, di altri interessi, di altre morti. Partenze e viaggi (oltre 1000) sono avvenuti soprattutto da due Paesi in una situazione di instabilità politica, persecuzione religiosa, guerriglia o terrorismo: Siria (42.425) ed Eritrea (34.329). Poi le persone provenienti da Mali (9.908), Nigeria (9.000), Gambia (8691), Palestina (6017), Somalia (5.756), Senegal (4933), Bangladesh (4386), Egitto (4.095). Le migrazioni forzate nel 2014 sono state la più significativa provocazione all’Italia e all’Europa per ridisegnare  le possibilità e gli strumenti di accoglienza e di tutela dei richiedenti asilo e per ripensare l’Ue con un "supplemento di cittadinanza". La fragilità di decine di paesi, le 27 guerre in atto, disastri ambientali crescenti, dittature, violenze e persecuzioni politiche e religiose, terrorismo portano la Chiesa a chiedere all’Europa e al mondo uno sforzo maggiore non per presidiare le frontiere, ma per superarle a tutela della dignità della persona. * sacerdote, direttore Fondazione Migrantes

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