martedì 13 giugno 2017
Non hanno rispettato l'obbligo di accogliere i profughi. Budapest e Varsavia non ne hanno accettati nemmeno uno. Solo 12 Praga.
Profughi tra la Serbia e l'Ungheria (Ansa)

Profughi tra la Serbia e l'Ungheria (Ansa)

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Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria sono adesso sotto procedura d’infrazione da parte della Ue per il loro rifiuto di accettare richiedenti asilo da Italia e Grecia. Trapelata già alla vigilia, ieri la decisione è stata ufficializzata dal commissario europeo alla Migrazione Dimitris Avramopoulos, dopo la riunione del collegio dei commissari a Strasburgo. L’occasione è stata la pubblicazione dell’ultima fotografia dello stato del programma di ridistribuzione di 160.000 migranti (poi ridotto a 98.000) da Italia e Grecia, deciso dall’Ue nel settembre 2015 e in scadenza nel settembre prossimo.

Questi tre stati membri -ha tuonato Avramopoulos - non hanno fatto niente, ripeto niente, per oltre un anno, o anche per l’intera durata del programma”. In particolare, Praga ha accolto appena 12 richiedenti asilo (sul totale di 2.691 previsti dalla sua“quota”) e pochi giorni fa ha annunciato che non ne avrebbe accolti altri per “ragioni di sicurezza”. La Polonia non ne accolti neppure uno dei 6.182 della sua quota, e così pure l’Ungheria (che dovrebbe prenderne 1.294). “L’Europa - ha avvertito ancora Avramopoulos - non è solo questione di ottenere fondi e sicurezza. L’Europa è anche la condivisione di momenti e sfide difficili”.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha definito l’apertura delle procedure “un ricatto e un comportamento anti-europeo”, aggiungendo che “neppure la Commissione Europea può privare gli stati membri di decidere chi lasciare entrare”. Durissimo anche il premier ceco Bohuslav Sobotka, “la Repubblica Ceca - ha detto - non è d’accordo con il sistema, anche a causa del peggioramento delle condizioni della sicurezza in Europa. Siamo pronti a difendere coerentemente questo nostro atteggiamento nell’Ue e davanti ai rispettivi organi giudiziari”.

Solo leggermente più prudente la Polonia, il portavoce del governo Rafal Bochenek ieri ha dichiarato che la decisione di Bruxelles “va rispettata anche se non siamo d’accordo”, salvo aggiungere che “la ridistribuzione non è una buona soluzione”.

Poche ore prima, il ministro degli Esteri Witold Waszczykowski aveva definito “illegale” la procedura. In realtà a stabilire la redistribuzione fu una decisione giuridicamente vincolante presa dai ministri dell’Interno dell’Ue, a maggioranza qualificata (come previsto dal Trattato Ue). “L'attuazione delle decisioni del Consiglio- ha sottolineato Avramopulos - è un obbligo giuridico, non una scelta”. Entro settembre è inoltre attesa la sentenza della Corte di giustizia Ue sul ricorso avanzato da Slovacchia e Ungheria contro il programma, e appare improbabile che tale ricorso sarà accolto. Bruxelles sottolinea comunque che la ridistribuzione proseguirà anche dopo la scadenza del programma, che si applicherà a tutti i richiedenti asilo idonei giunti in Italia o in Grecia entro il 26 settembre 2017.

Nel rapporto non manca però anche una tiratina di orecchi all’Italia. Il documento ricorda che dei 20.700 eritrei (la principale categoria insieme ai siriani destinata alla ridistribuzione) giunti nel 2016 sulle nostra coste, più altri 2.500 quest’anno, solo metà sono stati registrati e dunque predisposti all’invio in altri stati membri. “E’ per questo cruciale -avverte il rapporto - che l’Italia identifichi e registri rapidamente per la ridistribuzione tutti gli altri migranti idonei attualmente presenti sul suo territorio”.

Bruxelles inoltre lamenta l’eccessiva distribuzione sul territorio dei migranti idonei, “complicando il processo di ridistribuzione” e chiede che l’Italia “acceleri gli sforzi per centralizzare la procedura di ridistribuzione in pochi centri designati”.

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