mercoledì 13 agosto 2014
​Così l'Europa prospera sulle  guerre: svelati i dati. Nessun comparto ha una crescita migliore. Record di Francia e Germania. Boom verso il Medio Oriente.
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«Mi domando come fanno ad avere certe armi così sofisticate questi gruppi considerati terroristici. Non sono produttori di armamenti, quindi da qualche parte devono pur arrivare», si è domandato nei giorni scorsi il nunzio a Baghdad, monsignor Giorgio Lingua. In Europa c’è chi dovrebbe saperne qualcosa. L’Isis riceve rifornimenti da importanti donatori sauditi. E l’Arabia Saudita, con ordinazioni da 3,5 miliardi all’anno, è il cliente più coccolato dai fabbricanti di armi di tutto il Vecchio Continente.  In barba alla crisi gli affari per i materiali militari 'Made in Europe' hanno superato i 40miliardi, in crescita del 6% e con allettanti previsioni anche per il 2014. Oramai è l’euro la moneta ufficiale di questo business. Con operazioni autorizzate per un valore di 13,7 miliardi la Francia è il maggiore esportatore, seguito da Spagna (7,7 miliardi), Germania (4,7 miliardi) e Italia (4,2 miliardi). Che si tratti dell’Iraq, della Striscia di Gaza, degli scontri in Ucraina, della guerra in Siria o delle più irrequiete repubbliche africane, da Bruxelles si sprecano gli appelli per «mettere a tacere le armi e far parlare la diplomazia». Con scarsi risultati. Maggior successo le cancellerie dell’Unione ottengono nello smercio di tecnologia militare. Le informazioni fornite dalla Gazzetta Ufficiale Ue, che pubblica il rapporto annuale sulle esportazioni di armi, sono largamente carenti. Una nota a margine informa che «diversi Stati non hanno potuto fornire i dati». Che cosa impedisca a Belgio, Danimarca, Polonia, Grecia, Irlanda, Germania e Regno Unito, di rivelare queste informazioni lo si può solo immaginare. Segretezza che, per alcuni Paesi, è stato possibile aggirare. Merito di alcuni parlamentari che hanno presentato ai rispettivi governi interrogazioni a cui i ministeri sono obbligati a dare seguito. Le risposte ottenute confermano i sospetti. In tempi di vacche magre, la produzione e il commercio di armi resta un mercato forte, tra i pochi in crescita inarrestabile. La quota tedesca di spedizioni verso i Paesi al di fuori dell’Ue e della Nato è aumentata a livelli record. Nel 2013, secondo un report del ministero dell’Economia di Berlino, si è passati dal 55% al 62%. L’ammontare dell’export autorizzato è cresciuto del 23%: da 4,7 miliardi di euro nel 2012 a 5,8 miliardi nel 2013. Fra i Paesi importatori compaiono Algeria, Qatar, Arabia Saudita e Indonesia, non proprio campioni di democrazia e diritti umani. La normativa Europea sulla compravendita di armamenti sembra ridotta a uno specchietto per allodole. La 'Posizione Comune 2008/944/Pesc' obbliga gli Stati membri a «impedire l’esportazione di tecnologia e attrezzature militari che possano essere utilizzate per la repressione interna o l’aggressione internazionale o contribuire all’instabilità regionale». I fatti dicono che questa norma viene aggirata. Il volume degli affari Ue è stato di 39,9 miliardi di euro, con una crescita del 6%. In aumento del 22% le esportazioni nei paesi del Medio Oriente (9,7 miliardi). Il maggiore acquirente mediorientale è l’insaziabile Arabia Saudita (3,5 miliardi) che secondo concordanti fonti di intelligence è tra i principali fornitori delle truppe in divisa scura che stanno barbarizzando l’Iraq. Altri importanti mercati sono Oman, Emirati Arabi Uniti, India e Pakistan. L’ultima relazione della Gazzetta Ufficiale di Bruxelles si riferisce a dati del 2012. Secondo le statistiche ufficiali, delle 47.868 autorizzazioni per l’esportazione richieste nell’area Ue, ne sono state respinte 459, meno dell’1%.  In Francia, lo confermano informazioni ufficiali di poche settimane fa, non c’è settore che abbia fatto registrare risultati migliori. Il ministero della Difesa di Parigi ha dichiarato che nel 2013 le consegne all’estero sono aumentate del 30% rispetto al 2012. Nello stesso anno sono stati siglati accordi per l’acquisto di «materiale e tecnologie militari» con paesi del Medio Oriente per un totale di 6,3 miliardi. E poiché il 2014 promette altre opportunità per giocare alla guerra, il governo d’Oltralpe ha annunciato che aumenterà ulteriormente le consegne all’estero nel 2014. Oltre alla fornitura di caccia 'Rafale' all’India, la Francia sta consegnando fregate alla Marina del Regno del Marocco, nonostante il conflitto aperto con la popolazione Sahrawi e l’inadempienza di Rabat con le disposizioni Onu sul Sahara Occidentale. L’altro fronte caldo guarda verso Est. Lo scambio di accuse tra Europa e Russia si fa sempre più duro. La Russia accusa l’Unione Europea di aver revocato l’embargo imposto contro l’Ucraina sulle forniture militari, mentre il premier britannico David Cameron ha chiesto alla Nato di rafforzare la presenza in Europa orientale perché «Putin non la passi liscia». Tutto mentre in Ucraina si fronteggiano l’esercito di Kiev e i separatisti filorussi. A scontri in corso, però, proprio il Regno Unito ha concluso un importante accordo di cooperazione militare con la Russia che prevede un maggiore scambio di tecnologie. «La guerra non è che commercio», disse una volta lo scrittore britannico Evelyn Waugh. E il sangue degli innocenti è fuori dal tariffario.
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