sabato 14 maggio 2022
La Ong Vostok-SOS ha organizzato squadre di volontari per le evacuazioni, ormai quotidiane. «Da fine marzo abbiamo soccorso circa 400 persone con limitata mobilità insieme ai loro accompagnatori»
Ucraini in fuga. Profughi in arrivo a Zaporizhzhia dopo avere lasciato Mariupol

Ucraini in fuga. Profughi in arrivo a Zaporizhzhia dopo avere lasciato Mariupol - Ansa/Epa

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Il peggio che possa capitare nel mezzo di un’evacuazione di civili particolarmente fragili e anziani è che il veicolo su cui viaggiano si fermi all’improvviso, in panne per un guasto, mentre nei dintorni infuriano i combattimenti.

«Quel giorno era in corso un’evacuazione da un paesino vicino alla città di Lyman, nel Donbass. Proprio da lì avevo portato via persone verso un ospedale a Slovyansk, quando mi è arrivato un messaggio: un’altra squadra, attiva in quel villaggio, aveva dovuto abbandonare il furgone in panne, mentre nelle vicinanze era iniziato un bombardamento di artiglieria pesante», racconta Vladislav Arseniy, originario di Donetsk, volontario per le evacuazioni organizzate dalla Ong Vostok-SOS.

«Per cercare un posto sicuro, si erano incamminati lungo la ferrovia con gli sfollati, la maggior parte molto vecchi». Vladislav non ci ha pensato due volte, è tornato indietro per soccorrerli.

«Non potevo comunicare con loro, non c’era linea, e non conoscevo la loro posizione. Ho deciso di aspettarli alla periferia del villaggio, ma si sentivano spari di armi automatiche molto vicine». È passata mezz’ora, un tempo infinito in circostanze come quelle, prima che Vladislav trovasse i compagni e l’evacuazione potesse concludersi.

«Un veicolo che si ferma corre un rischio altissimo perché diventa un target, un obiettivo da colpire», spiega al telefono Eugene Golovanevsky, che per Vostok-SOS è coordinatore di Vladislav e degli altri volontari.

«È accaduto anche il giorno successivo al guasto del furgone. Da Lysychansk avevamo un convoglio di tre van che si è inerpicato su una collina. È stato preso di mira dalle truppe russe. Era evidente che cercassero di colpirlo, ma si sono salvati tutti».

Le evacuazioni di East-SOS sono quasi quotidiane, la lista con i nomi dei richiedenti è lunga nel martoriato Est dove l’Ong è molto conosciuta dal 2014. In progetto ci sono ora anche missioni più a Sud, da Mykolaiv e Zaporizhzhya.

«Da fine marzo abbiamo portato in salvo circa 400 persone con limitata mobilità insieme ai loro accompagnatori. Con partner come Yangoli Spasinnya, Freedom Trust, Mondo e Libereco, abbiamo poi contribuito a trasferimenti meno complessi, con bus per oltre 4mila civili verso Dnipro o la stazione di Pokrovsk».

I volontari sono stati finora circa sessanta, uomini ma anche donne, non solo ucraini. «Anche britannici, statunitensi, tedeschi, tutti civili, di solito con una un’esperienza maturata in altri contesti di guerra», prosegue Eugene Golovanevsky. Ciascun equipaggio è costituito di tre persone, «una al volante e le altre due che si occupano di rintracciare nei rifugi sotto le case i civili in lista, per poi aiutarli negli spostamenti».

Prima di febbraio, Vladislav Arseniy non aveva alcuna esperienza di evacuazioni. Ha deciso di diventare volontario civile all’indomani della partenza della moglie e delle figlie, che ha accompagnato al sicuro al confine occidentale.

«Ogni giorno inizia con la pianificazione del percorso e della sequenza degli indirizzi da raggiungere», racconta. «È importante avere chiaro l’intero quadro della giornata. Poi cominciamo il lavoro, ed è a quel punto che emergono le emozioni. L’abilità più preziosa è mantenere la calma, quando sei calmo prendi decisioni migliori».

Gli chiediamo se in azione sia mai spaventato: «La paura può arrivare, dipende da quanto sei vicino al fuoco, da quanto è intenso un bombardamento». Grande rilevanza ha, per lui, parlare con gli sfollati. «Ogni operazione in larga misura dipende dal fatto che loro si fidino o meno di te. Spesso dobbiamo convincerli che saranno al sicuro».

Chi viene messo in salvo, pur in un momento critico di distacco dalla vecchia vita, non manca di esprimere la propria gratitudine. «Noi vediamo lo sforzo degli sfollati, le loro paure e il dolore. Spesso, dolore fisico. Molti di solito sono costretti a letto, fragilissimi. Tiriamo un sospiro di sollievo solo quando il furgone o il treno su cui li abbiamo fatti salire si allontanano verso un luogo più sicuro, dove sappiamo che qualcuno si prenderà cura di loro».

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