mercoledì 17 novembre 2010
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È furibondo Roberto Maroni, offeso «come ministro e come leghista». Perciò chiede una cosa sola: «Voglio il diritto di replica». Lo reclama in prima mattinata, nel pomeriggio e in tarda serata, in radio, alle agenzie e a chi gli cammina a fianco. E il direttore di Raitre mostra disponibilità, ma a precise condizioni: niente intervento del ministro, siamo pronti a ospitare un video o una nota scritta.Le parole di Saviano sui rapporti tra ’ndrangheta e Lega Nord a Maroni appaiono «un’infamia» contro la storia delle camicie verdi («la ’ndrangheta – aveva detto lo scrittore durante Vieni via con me, la trasmissione che conduce con Fabio Fazio – cerca il potere della politica, e al Nord, come dimostra l’inchiesta, interloquisce con la Lega»). E la replica, spiega il ministro, deve avvenire lì, in quello stesso studio, alla stessa ora, magari con lo stesso autore di Gomorra come interlocutore. Il direttore di Raitre gli risponde in serata: «Se il ministro Maroni ritiene di rilasciare una dichiarazione scritta o filmata di precisazione, di rettifica o di replica», questa «troverà posto all’interno della prossima puntata», dice Paolo Ruffini, che riferisce di aver «ricevuto una lettera del ministro». E difende Saviano: «A me – dice Ruffini – non è sembrato che le sue parole fossero in alcun modo offensive né della persona del ministro né del movimento politico al quale il ministro appartiene». Aggiungendo che «alla Lega Saviano ha esplicitamente riconosciuto una attività di contrasto culturale alle organizzazioni criminali. E al ministro una costante attività repressiva dei fenomeni criminali».«Sono stupito e allarmato dalle sue parole, non capisco di quali infamie parli», replica Saviano a Maroni con una nota in cui ricorda i fatti cui si è riferito, ovvero «l’inchiesta giudiziaria dell’Antimafia di Milano e Reggio Calabria sul nuovo assetto della ’ndrangheta e sulla sua presenza in Lombardia». Attorno al ministro si schierano i compagni di partito (che hanno avviato anche azioni legali ed esposti all’Agcom), i vertici del Pdl e i consiglieri Rai in quota alla maggioranza. Saviano incassa la solidarietà dei finiani, dei membri d’opposizione nel Cda della tv pubblica e di diversi esponenti del centrosinistra. Ma il vicesegretario del Pd riconosce che gli autori del programma avrebbero dovuto dare «il diritto di replica al ministro». Inevitabile che la querelle finisca al settimo piano di viale Mazzini e in Parlamento, come riferiamo qui a fianco. Fosse per i vertici di Raitre, a Maroni non sarebbe concesso alcun diritto di replica. «Ha a disposizione tg e altri programmi politici», replica il capostruttura e responsabile della trasmissione Loris Mazzetti. Il ministro si sente offeso? «Si rivolga alla magistratura...». Il Viminale però contesta altro: l’accostamento tra la malavita e Lega, il passaggio dello scrittore sull’ideologo delle camicie verdi Gianfranco Miglio (secondo Saviano avrebbe teorizzato la «costituzionalizzazione delle mafie»), il punto in cui lo scrittore considera «un errore» esultare dopo gli arresti. E per ribattere dallo studio di Fazio, Maroni è pronto ad andare fino in fondo: ha scritto una lettera al presidente, al Cda e al direttore generale Rai, al vertice della terza rete, al presidente della Vigilanza Sergio Zavoli, ai numeri uno di Montecitorio e Palazzo Madama. Nella missiva definisce l’affondo di Saviano «falsità totalmente prive di fondamento e diffamatorie nei confronti del mio movimento politico», ricorda il suo impegno di ministro «che combatte quotidianamente ogni forma di criminalità». Con Radio Padania è ancora più risentito: «Nessun ministro ha ottenuto i miei risultati, che le mafie siano presenti al Nord è un’ovvietà, ma accusare un intero partito di esserne il referente mi fa venire la pelle d’oca...». E se non ottenesse ciò che a suo dire gli spetta, oltre a registrare un clima da «inquisizione, da nuovo medioevo», sarebbe pronto a rivolgersi a Napolitano: «Un’accusa così infamante è compatibile con la funzione di ministro dell’Interno?».Saviano rintuzza e rilancia: «Ha visto un’altra trasmissione, i fatti che ho raccontato dovrebbero preoccupare il ministro e non spingerlo ad accusare chi li denuncia». Gli offre «solidarietà e apprezzamento» Walter Veltroni (Pd): «La reazione di Maroni è assurda e grave, colpisce una voce libera costretta a vivere sotto scorta». Non da meno il finiano Fabio Granata («Giù le mani da Saviano») e il leader Idv Antonio Di Pietro: «Invece di prendersela con i medici se la prendono con il tumore, come con "Mani pulite"». Per l’Udc Roberto Rao «Saviano ha parlato di un’Italia nascosta e vera, Maroni fa un ottimo lavoro ma non può pretendere di nascondere una parte di realtà». Anche nell’opposizione però c’è chi riconosce il diritto di replica, come il già citato Enrico Letta. La Lega è scatenata. Mario Borghezio apostrofa Saviano come il «Pippo Baudo dell’antimafia», l’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli ricorre a un dialettale «ma va’ a ciapa’ i ratt».IL CASO OGGI IN CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE RAIL'esultanza per gli ascolti record dura poche ore. La giornata di viale Mazzini è presto travolta dalle polemiche, dalla furia del ministro Maroni e dalle preoccupazioni della commissione Vigilanza, che per domani ha chiamato tutti a rapporto «sui problemi e le difficoltà dell’azienda». Ma prima di approdare in Aula, già oggi la querelle tra il Viminale e Saviano sarà oggetto di un duro scontro nel Cda. La consigliera in quota Lega, Giovanna Bianchi Clerici, tra le varie ed eventuali sosterrà il diritto di replica invocato dal titolare degli Interni, e il collega Antonio Verro ha chiaramente espresso il proprio accordo con Maroni. Sul fronte opposto Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten, in quota Pd, hanno fatto capire di avere intendimenti diversi. I consiglieri dovranno dare un loro atto d’indirizzo - gli altri sono il centrista Rodolfo De Laurentiis, i pidiellini Alessio Gorla e Guglielmo Rositani, l’esponente nominato dal Tesoro Angelo Maria Petroni e il presidente Paolo Garimberti -, poi a prendere tra le mani la patata bollente sarà il direttore generale Mauro Masi.Che sarà un incontro infuocato lo si capisce dalle prese di posizioni che si sono accavallate lungo la giornata. Per la Bianchi Clerici «non è certo un capostruttura che può decidere». Si riferisce a Loris Mazzetti, il responsabile della trasmissione di Fazio che ha già detto «no» ad ospitare Maroni. Lei chiederà invece «che la richiesta del ministro sia assolutamente accolta». Verro rincara: «Io sono a favore della teoria di Garimberti: il pluralismo si declina aggiungendo e non sottraendo». Anzi, a suo parere anche «la partecipazione di Bersani e Fini è stata provocatoria». Van Straten assicura che «un sistema per il quale Maroni potrà dire la sua si troverà», tuttavia specifica che «"Vieni via con me è un talk show, e se qualcuno ritiene non condivisibile quanto detto da Saviano può chiedere di replicare in modo meno aggressivo». E per collegare le polemiche del dopo con quelle che hanno preceduto la trasmissione, Rizzo Nervo esulta per l’audience e attacca il direttore generale Masi, che nei giorni scorsi si era opposto alla presenza dei due politici: «Si conferma un eccellente promoter delle trasmissioni che vorrebbe impedire...». Domani pomeriggio, poi, la questione arriverà in commissione Vigilanza. Il presidente Sergio Zavoli vuole sentire il presidente Garimberti e il Cda. La seduta era già prevista, a tema ci sarà l’atto di indirizzo per il pluralismo informativo, ma i membri leghisti solleveranno il caso "Vieni via con me".A fare rumore, però, sono anche i dati d’ascolto. Quasi 10 milioni e mezzo di spettatori alle 21.46, proprio mentre Saviano affonda sui rapporti ’ndrangheta-Lega. Un dato superiore a quello fatto registrare la settimana scorsa da Roberto Benigni. In media, Fazio ha raccolto un audience media di oltre 9 milioni di persone, con un 30,21 per cento di share che lo colloca, come evento televisivo, solo dopo Sanremo e la nazionale. Una crescita, rispetto alla precedente puntata, di 5 punti e 1 milione e mezzo di spettatori. La "lista dei valori" declamata prima da Bersani e poi da Fini - altro pomo della discordia prima della messa in onda - ha avuto in media 10 milioni di utenti e il 31 per cento di share.
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