giovedì 11 giugno 2020
Cosa accade in quei tre giorni
Tutto pronto, ma nessuno decise. «Poi abbiamo contato i morti»
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Ci sono 72 ore da riavvolgere ed esaminare per capire chi (e se) ha avuto una responsabilità nel mancato isolamento di Alzano Lombardo e Nembro. Tra il 5 e il 7 marzo la decisione appare scontata e imminente, tanto che la mattina del 6 L’Eco di Bergamo si sbilancia: «Arriva la zona rossa». Invece non succede nulla, tra lo stupore generale di una popolazione che, di fronte all’onda dei contagi che sale veloce e inesorabile, si è già chiusa in casa senza aspettare ordini. Quel venerdì Alzano e Nembro sono due paesi fantasma. Ma il giorno dopo, visto che la decisione non arriva, tanti decidono di mettere fuori la testa. È una giornata di sole, molti vanno a passeggiare lungo il fiume Serio.

Sembra un normale weekend di primavera. Qualche decina di chilometri più a nord, gli irri- ducibili dello sci prendono d’assalto le piste. A Colere c’è la fila davanti agli impianti. Nonostante gli appelli dei gestori e i richiami dei carabinieri, la gente si accalca in attesa di balzare sulla seggiovia. Il virus ringrazia e approfitta del grande vuoto decisionale che forse finisce per spingere i bergamaschi, e non solo, a sottovalutare il pericolo. Meno di due settimane dopo si cominceranno a contare i morti a decine, ogni maledetto giorno. Un dolore inasprito da un paradosso: tanti potevano decidere, ma non ha deciso nessuno.

«È vero, mi sono informato, potevamo istituire anche noi la zona rossa, una legge lo prevede – ammetterà candidamente l’assessore lombardo al welfare Giulio Gallera il 7 aprile – ma erano arrivate le camionette dell’Esercito ed eravamo convinti che la facesse il governo». Il riferimento di Gallera è all’ormai celebre articolo 32 della legge 833 del 1978, che istituì il Servizio sanitario nazionale. La norma dice che in materia di igiene e sanità pubblica non solo il ministro della Salute, ma anche il presidente della Regione e il sindaco possono adottare ordinanze di carattere 'contingibile e urgente'. È quanto accaduto in Emilia Romagna, dove Medicina è stata dichiarata off limits dal governatore Bonaccini e dal sindaco del paese, o a Fondi, nel Lazio. Ed è ciò che non è accaduto invece ad Alzano. Il punto è controverso, divide non solo la politica ma anche i giuristi. Come spesso accade in Italia, le norme sono troppe e attribuiscono poteri concorrenti a troppi soggetti. Perché è vero che c’è la legge del 1978, ma esiste anche il codice della Protezione civile del 2018, che riconduce al presidente del Consiglio il potere di legiferare nell’emergenza. Forzando la norma del 1978, tuttavia, persino i sindaci avrebbero potuto agire.

E a poco vale la giustificazione che circola, secondo cui i Comuni non comandano i carabinieri e quindi non avrebbero potuto imporre il blocco delle strade. Vero, ma si poteva chiedere la disponibilità delle forze dell’ordine al prefetto o al ministero dell’Interno. La giurisprudenza, come detto, non è univoca. L’impressione, però, è che ci sia stato un problema di scelte, non solo di norme. Un ex sindaco bergamasco di lunga militanza, in quei giorni, chiese inutilmente ai colleghi di non fare i 'Ponzio Pilato'. «Avrei chiuso tutto, avrei firmato l’ordinanza – spiega – . Chi si sarebbe preso la briga di impugnarla? ». Un approccio un po’ ruvido, decisionista. Ma forse, in quei momenti, era quello che serviva. Bisognava agire, anche a costo di andare incontro a delle grane. Serviva coraggio.

E invece ha prevalso l’attendismo. Dopo una chiusura si sarebbe dovuto render conto agli industriali e ai commercianti, grandi elettori da non scontentare. Le pressioni in quei giorni ci sono state eccome, negarlo sarebbe da ipocriti. Legittime, perché ognuno difende come può e come crede i suoi interessi. Ma le istituzioni avrebbero dovuto avvertire l’urgenza di arginare un nemico che stava già dilagando. Senza aspettare fino al 7 marzo, quando il governo dichiarò zona rossa l’intera Lombardia. A quel punto era troppo tardi, ricoverati e morti stavano già aumentando in modo esponenziale. Tra il 5 e il 6 marzo 200 militari erano pronti a sigillare la media Val Seriana. Ma mentre attendevano l’ordine di schierarsi, hanno ricevuto quello di ritirarsi. L’avanzata del Covid, intanto, stava già travolgendo le difese.

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