domenica 27 dicembre 2020
La casa famiglia del Casertano in cui centinaia di piccoli trovano speranza. Anche in era Covid
Il piccolo Giuseppe, ultimo arrivato nella casa

Il piccolo Giuseppe, ultimo arrivato nella casa - .

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Il Bambinello, nella casa famiglia “La compagnia dei felicioni” di Trentola Ducenta, nel Casertano, ha gli occhi, il sorriso, gli strilli, le guance paffute di Giuseppe, due mesi, una vita già a rischio, l’ultimo arrivato tra i piccoli scartati. «Lo abbiamo visto come un segno del Signore, un dono di Natale, un segno di speranza», riflettono Fortuna e Antonio la coppia della Comunità di Capodarco che da 18 anni gestisce la casa famiglia ospitata nella villa confiscata a Dario De Simone, boss e killer della camorra, autoaccusatosi di 99 omicidi. Più di cento minori sono passati tra queste mura, storie drammatiche quasi sempre con finali positivi.

Giuseppe è nato il 21 ottobre di soli sei mesi ed è arrivato nella casa famiglia il 19 dicembre. Figlio di una donna di appena 23 anni al quinto cesareo. Cinque figli avuti con due uomini, entrambi detenuti, il padre di Giuseppe tossicodipendente e accusato di maltrattamenti nei confronti della compagna. Allontanamento coatto, anche perché il piccolo è monitorato per una sindrome metabolica, con un eccesso di produzione di un amminoacido che può compromettere la sua possibilità nell’affrontare alcune malattie. Rischi possibili, ma per ora Giuseppe sorride felice tra le braccia di Fortuna.

Come Diana, bimba polacca accolta a luglio quando aveva due anni e mezzo, malnutrita, con un peso di appena 7 chili. Un papà alcolista e violento, e anche lei, piccolo scricciolo, con l’alcol nel sangue, già prima della nascita, fetoalcolemia è la terribile diagnosi. Una vita segnata fin dal primo giorno e non solo. Diana frequenta il Policlinico di Caserta e lì, molto probabilmente, si contagia con Covid-19. Così il virus entra a ottobre nella casa famiglia. Positivi Fortuna e Antonio, e il figlio Antimo. «Ne siamo usciti a novembre. Un mese da soli, senza operatori e volontari», racconta la bellissima coppia. E ricorda chi, passato di qui, ora ha trovato una nuova famiglia. Carlo, arrivato dopo poche settimane di vita, con un cromosoma non allineato, ora ha tre anni ed è in adozione.

Abel quando è arrivato aveva appena due mesi, sembrava senza speranza, con una disabilità che colpiva la vista e le gambette. Ora Abel (soffio vitale, in ebraico) dopo alcune operazioni vede e cammina, con mamma Adriana e papà Francesco, poliziotta e tassista napoletani, che lo hanno accolto con amore e impegno. È quello che sta vivendo Francesca, oggi 16 anni, la bambina ammalata di Aids che la scuola non voleva, una vicenda raccontata cinque anni fa da Avvenire.

Grazie alla denuncia di Fortuna e Antonio, ospitata dal nostro giornale, grazie all’allora ministro della Pubblica istruzione Stefania Giannini, Francesca a scuola c’è andata, ora frequenta il liceo artistico, gioca a calcetto, e ha una nuova famiglia mentre la malattia è sotto controllo. E quello che Fortuna e Antonio sperano, e fanno tanto per realizzarlo, per gli altri piccoli. Come Elena, oggi 15 mesi, nata in astinenza da metadone e cocaina. O Aurora, 8 anni, vittima di asfissia neonatale, che le ha bucato le membrane del crevello. Ora è cieca, spastica e non cammina. O come i fratelli Francesco e Veronica, 15 e 12 anni, qui da tre anni, dopo negative esperienze in altre case famiglie.

La mamma ha problemi psichiatrici e tossicodipendente, mentre la piccola è stata violentata da padre. Ora sono in un percorso di affido in una famiglia che stava per prendere tre bimbi in Russia in adozione, ma è stata bloccata dal Covid, così ha aperto la sua casa e il suo cuore a Francesco e Veronica. «Sono storie molto forti – riflettono Fortuna e Antonio – che leggiamo come possibilità di riabilitazione e di rinascita. A Natale siamo stati solo noi. È la casa famiglia che sta insieme. Ma se busserà qualcuno lo accoglieremo, il Covid non può far morire la speranza.

Ben vengano le restrizioni ma non con egoismo. Natale è accoglienza. La gioia facilissima dei nostri bimbi, la costruzione quotidiana condivisa della speranza siano sempre segno, della umana presenza del Signore in mezzo a noi. Vieni sempre Gesù e parlaci del Divino che è in ognuno di noi. Soprattutto in questo tempo».

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