mercoledì 7 agosto 2013
​Bohli Kayes, pusher di 35 anni, fu fermato il 6 giugno scorso a Riva Ligure dopo un inseguimento e una colluttazione. I tre carabinieri che lo bloccarono ora sono indagati per omicidio colposo.
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Bohli Kayes, il pusher tunisino di 36 anni, morto nella caserma di Riva Ligure (Imperia) il 6 giugno, è deceduto per una asfissia violenta causata da una pressione sulla cassa toracica. È quanto emerge dall’autopsia. Senza mezzi termini, ieri il procuratore della Repubblica di Sanremo, Roberto Cavallone, ha parlato di «grossa responsabilità dello Stato». Per gli inquirenti, infatti, l’ipotesi più probabile è che a provocare la morte dell’uomo che aveva sposata una italiana e aveva due figli, siano stati gli stessi carabinieri che indagavano su un presunto spaccio di stupefacenti avvenuto in un supermercato di Riva Ligure e che fermarono il tunisino, dopo un inseguimento, trovandogli addosso alcuni grammi di eroina. L’uomo morì poco dopo. I carabinieri, forse per bloccarne la reazione, potrebbero avergli premuto troppo a lungo il torace impedendogli di respirare.Il pubblico ministero (pm) ha confermato che i tre carabinieri impegnati nell’arresto di Kayes, e che si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, rimangono indagati per omicidio colposo mentre nei confronti del civile che avrebbe aiutato gli uomini dell’Arma a fermare l’uomo in fuga, trattenendogli le caviglie, non risulta alcun provvedimento. Sul corpo di Kayes non sono state riscontrate fratture. La pressione sul torace o su altre parti del corpo ha causato prima la morte cerebrale per asfissia, poi quella fisica, ha sostenuto il medico legale, Simona del Vecchio. «Di questa morte lo Stato deve farsi carico. Si tratterà di un brutto processo», ha aggiunto Cavallone. Per il quale, stando alle risultanze della perizia, «nel momento dell’arresto o del trasporto in auto, dal luogo dell’arresto alla caserma», sarebbe stato «in qualche modo impedito a Bohli Kaies di respirare e di espandere la cassa toracica». Determinando, «in un individuo che già era in carenza di ossigeno perché proveniva da una violenta colluttazione, un debito di ossigeno notevole». I carabinieri riferirono che l’uomo si era sentito male solo arrivando in caserma e che subito era stato chiamato il 118.«Al di là di quello che poteva aver commesso – ha dichiarato Cavallone –, la vita è sacra e quando un cittadino, italiano o straniero, è nella disponibilità delle istituzioni, la sua integrità fisica deve essere assolutamente tutelata». Ecco perché lo Stato dovrà risponderne e chiedere «scusa al popolo tunisino e alla famiglia dell’uomo. Questo certamente da un punto di vista di responsabilità civile». Poi, ha aggiunto il pm, «ci sono le responsabilità penali, che sono però personali. Andrà individuato chi dei militari che ha partecipato all’operazione, ha tenuto un comportamento che possa aver determinato, certamente per colpa (al momento, dunque, viene esclude l’ipotesi dolosa, ndr), la morte di Bohli Kaies, che non è morto di vecchiaia, né di morte naturale: è morto perché sostanzialmente gli è stato impedito in qualche modo di respirare».Cavallone ha anche evidenziato che «non c’è niente che testimoni di un’azione violenta sulla persona con l’intenzione di creare una lesione: c’è soltanto questa situazione di sofferenza cerebrale e polmonare». Poi il pm ha fatto di nuovo ricorso alla perizia medica: «Per determinare lo stato di coma in cui è caduto Kaies, secondo il medico legale, sono necessari da uno a tre minuti. Possiamo solo fare ipotesi: qualcuno è stato sopra di lui, oppure la posizione in cui è stato tenuto fermo può avergli occluso le vie respiratorie». Il capo della procura ligure ha lanciato anche un appello affinché chiunque abbia visto o sentito qualcosa, si faccia avanti. Sia le autorità diplomatiche tunisine in Italia sia i familiari di Kayes hanno chiesto di ottenere copia del referto dell’autopsia.
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