domenica 14 febbraio 2010
Il nostro sistema penitenziario passa da un’emergenza all’altra: non c’è solo il dramma del sovraffollamento che riguarda i soggetti adulti. Anche nelle strutture pensate per i minori mancano risorse e personale in grado di farsi carico di un percorso che resta incentrato sul recupero della persona. Le associazioni: è difficile creare una rete in grado di accogliere chi deve uscire. VAI AL DOSSIER ??
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La crescita esponenziale di ragazzi stranieri negli istituti penali per i minorenni rischia di provocare anche nel sistema della giustizia minorile un cortocircuito analogo a quello che sta avvenendo, ormai da diversi mesi, nelle principali carceri italiane. La denuncia arriva dalle principali associazioni impegnate nella tutela dei diritti dei detenuti e fa il paio con una serie di fatti di cronaca che, nelle ultime settimane, hanno rilanciato l’emergenza anche nel sistema penitenziario minorile: la violenza ai danni di un detenuto diciottenne e gli arresti nel carcere di Nisida, a Napoli, la chiusura ancora oscura del carcere minorile di Lecce dopo le inchieste per presunti maltrattamenti nei confronti dei ragazzi e, alcuni mesi fa, il caso di un suicidio nella struttura di Firenze, fatto che non accadeva dal 2003. «Se avessimo una dotazione di polizia penitenziaria e di operatori più ampia, potremmo avere una vigilanza più efficace, soprattutto nei casi critici» ha detto qualche giorno fa il capo Dipartimento per la giustizia minorile, Bruno Brattoli, che ha ricordato che gli Ipm, gli istituti penali per i minorenni, attivi in Italia sono 16 e che l’obiettivo dei prossimi mesi è «aprirne uno a Pontremoli, oltre a ristrutturare quello dell’Aquila».Le risorse e il personale. «La capienza effettiva delle strutture chiamate ad accogliere gli autori di reato è di circa 400 posti – spiega Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – ma ormai la presenza media, in un anno come il 2009, si è attestata intorno alle 500 unità». Il 3 novembre scorso, secondo l’aggiornamento fornito da Ristretti Orizzonti, erano per la precisione 527 i minori negli istituti: 318 italiani e 209 stranieri. «L’eccesso di presenze di stranieri si spiega con la difficoltà nel collocare al di fuori del carcere, in spazi come le comunità, i minori irregolari, tanto è vero che il 50% degli stranieri è ancora dentro in attesa del processo» aggiunge Gonnella. Il sovraffollamento non è ancora ai livelli di guardia (discorso che invece vale per il sistema penitenziario degli adulti) ma è un termometro sempre più sensibile della tensione crescente, a cui vanno aggiunte altre lacune tipiche del sistema della giustizia minorile: si va dalla scarsità cronica di risorse alla necessità di svolgere sempre più e sempre meglio quel fondamentale intervento di recupero del processo educativo interrotto o deviato. «Il sistema penitenziario è pensato su misura per gli adulti – osserva Gonnella – e di fatto drena continuamente risorse al sistema minorile». Quando venne istituita, nel luglio del 1975, la legge 354 sull’ordinamento penitenziario, il parere unanime degli addetti ai lavori fu che si trattava di una normativa avanzata per l’epoca, soprattutto per ciò che riguardava le misure alternative alla detenzione. «Il punto è che siamo rimasti fermi ad allora, mentre adesso servirebbe una normativa ad hoc per la giustizia minorile, in cui si punti chiaramente sull’aspetto educativo e pedagogico» rilancia Gonnella.Perché è difficile uscire. I minori presenti negli istituti di pena minorile sono comunque solo la minima parte, meno del 10%, dei soggetti presi in carico dagli uffici di servizio sociale per i minorenni sul territorio nazionale: secondo il sito www.reteold.it, dai 13.066 ragazzi (9.970 italiani e 3.096 stranieri) del 2006 si è passati a un totale di 17.814 soggetti nel 2008 (14.397 italiani e 3.417 stranieri). «Le tendenze più recenti – osserva Francesco Morelli di Ristretti Orizzonti – fotografano peraltro una ripresa nelle presenze dei minori italiani rispetto agli stranieri negli istituti penali». Proprio la difficoltà a fare rete col territorio, dove le famiglie italiane rappresentano pur sempre un interlocutore decisivo per il collocamento dei minori fuori dagli istituti, è uno dei capitoli più spinosi. È innegabilmente più facile per un ragazzo o una ragazza nati da genitori italiani uscire dal carcere minorile rispetto a un coetaneo straniero. «Uno degli ultimi casi – racconta Gonnella – è quello delle ragazzine rom, in gran parte provenienti dall’Est Europa, rinchiuse negli istituti per aver commesso piccoli ma reiterati reati contro il patrimonio: per loro è più difficile avere accesso a misure alternative». La priorità resta (ri)educare, anche quando sin da piccoli si commettono reati. Eppure figure-chiave come quelle di psicologi, assistenti sociali, mediatori ed educatori sono sempre più carenti. Anche se questa, com’è noto, non è affatto un’esclusiva del sistema della giustizia minorile.
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