sabato 15 aprile 2023
Tre vescovi aprono il confronto con esperti e comunità locali sul futuro del Delta del Po, interessato da nuovi progetti industriali
Trivelle e Delta del Po. I territori frenano
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Dai vescovi della “terra dei fuochi” ai vescovi delle trivelle. Dal disastro ambientale dei rifiuti in Campania al disastro ambientale della subsidenza nel territorio del Delta del Po. Dal Sud al Nord sono ancora una volta la Chiesa e i suoi pastori a prendere l’iniziativa «lontani da ogni lotta di parte. Siamo in pace, la Chiesa opera accanto alle istituzioni ». Anche perché del tema quasi non si parla più a livello nazionale, malgrado l’inserimento nel decreto “Aiuti quater” di nuove trivellazioni metanifere in Adriatico. « È calato il silenzio».

Ma qui, in questo territorio bellissimo e fragile, il tema è molto caldo. Sala di Porto Viro strapiena. Tre vescovi, quelli di Chioggia, Giampaolo Dianin, Ferrara-Comacchio, Gian Carlo Perego e Adria-Rovigo, Pierantonio Pavanello. «Vogliamo partire dall’ascolto degli esperti, lasciando da parte le ideologie, col desiderio di capire la complessità del fenomeno. Metteremo queste riflessioni a disposizione di tutti, noi faremo la nostra parte» spiega Dianin introducendo l’incontro. « Non ci stiamo esprimendo con un sì o un no – conferma Pavanello -, ma abbiamo invitato esperti che possano informare noi e i cittadini sulle possibili conseguenze di nuove trivellazioni ». E le parole degli esperti non possono non preoccupare. «Questo territorio - ricorda Alberto Riva, geologo dell’Università di Ferrara – si è evoluto grazie a un equilibrio tra la subsidenza naturale, l’abbassamento del terreno causato dal compattamento dei sedimenti, e l’apporto di nuovi sedimenti dei fiumi. Poi arriva l’uomo e l’equilibrio salta. E, soprattutto, dal dopoguerra la perforazione selvaggia alla ricerca della famigerata acqua metanifera porta a un’accelerazione della subsidenza fino alla sua regolarizzazione negli anni ‘60». Ma i danni erano stati fatti, dall’innalzamento del livello marino alla perdita di spiagge, dall’intrusione salina nelle falde all’abbassamento degli argini dei fiumi.

«Anche dopo il blocco delle trivellazioni la subsidenza non si è fermata - avverte Bernard Schrefler, professore di Scienze delle costruzioni dell’Università di Padova . E per stabilizzare non serve immettere acqua, anzi peggiora ». Poi fa un appello. «Ci vuole più trasparenza, voi avete diritto che persone indipendenti possano analizzare i dati e non accontentarsi di quelli delle società». Una richiesta che fa anche Giancarlo Mantovani, direttore del Consorzio di Bonifica Delta del Po. «Confrontando cartografie di fine ‘800 e odierne, si evidenzia che il territorio allora emerso oggi si trova mediamente 2,5 metri sotto il livello del mare con punte di 4 metri.

La subsidenza naturale si attesta a 2 millimetri l’anno, invece con l’estrazione di acque metanifere, dal 1951 al 1960 il territorio sprofondò di 2 metri e dal 1961 al 1979 di un altro metro, nonostante nel 1961 fosse stata sospesa l’attività estrattiva. Dal 1983 al 2003, dopo oltre 20 anni, il territo-rio ha continuato ad abbassarsi di 40 centimetri». Dunque, aggiunge, «abbiamo bisogno di chiarezza, ma non si chiede all’oste se il vino è buono. È indispensabile creare un gruppo di lavoro di esperti nominati da Regione e Ministero per dire se quello che affermano le società è vero o no».

Ma le nuove trivellazioni risolverebbero i problemi di approvvigionamento di metano? I dati forniti da Vittorio Marletto fisico e climatologo del Gruppo Energia per l’Italia sono chiarissimi. «Ogni anno in Italia si consumano 74 miliardi di metri cubi di metano, i nostri giacimenti ne contengono appena 15 miliardi, il 20% del consumo di un solo anno. Inoltre nuove trivellazioni sono incoerenti con gli obiettivi presi per contrastare i mutamenti climatici. Il Pianeta si è riscaldato di più di un grado in un secolo, nelle nostre aree l’aumento è stato di 3 gradi in appena 30 anni». E allora bisogna ragionare in altro modo, come indica Francesco Musco Urbanista Università Iuav Venezia. « Passare da una dimensione autorizzativa, dei permessi, a una di pianificazione che mette insieme i vari usi del territorio e anche del mare. Servono altre logiche di pari sviluppo economico, è “crescita blu”, non pura tutela ».

Per questo, come aveva detto Giorgio Osti, sociologo dell’Università di Padova, introducendo l’incontro, «dobbiamo mettere in moto le nostre teste insieme, guardando ad altre esperienze, penso all’Olanda, a Israele e anche ad alcuni casi al Sud». Partendo dalle analisi degli esperti, come ha concluso l’arcivescovo Perego. «Consegniamo le nostre domande alla politica chiedendo la virtù della prudenza. Non affrettare scelte su un territorio vivo ma fragile, che ha già subito tanto. E valutare se i frutti delle decisioni possono risolvere un problema o portare un benessere per pochi e per poco tempo. Il nostro compito continuerà non come protesta ma perché chi deve, prenda le decisioni migliori».

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